Negli ultimi anni, il marketing emozionale, basato sull’adesione ai valori dei consumatori, è diventato una moda nel mondo pubblicitario. Tuttavia, finora, questo tipo di approccio è sempre stato “a costo zero” e senza conseguenze negative per i marchi. Un recente caso, quello di Bud Light, ha però cambiato le carte in tavola, mettendo in luce come le aziende debbano ora ripensare alle loro strategie e decidere se aderire a una causa, perchè il prezzo da pagare potrebbe rivelarsi elevato.

Il caso Bud Light: tra marketing inclusivo e polarizzazione

Bud Light, nota marca di birra americana, ha cercato di raggiungere un nuovo pubblico, più giovane, attraverso una campagna di marketing che ha coinvolto la nota influencer transgender Dylan Mulvaney. La sponsorizzazione di un post su Instagram da parte dell’azienda ha però scatenato una forte ed imprevista reazione negativa, con conseguenti richieste di boicottaggio del prodotto.

In seguito al boicottaggio, si sono registrati cali di vendite a doppia cifra percentuale per le settimane a seguire, rispetto allo stesso periodo del 2022. Inoltre, il titolo azionario di Anheuser-Busch, proprietaria di Bud Light, ha perso circa il 3% di valore azionario nell’ultimo mese, arrivando a perdere oltre 15 miliardi di dollari di valutazione, mentre i titoli dei competitor salivano del 20% (Molson Coors, i proprietari del marchio Coors Lite) e dell’1.7% (Heineken). 

Questo contribuisce a rendere quanto mai evidente l’efficacia del boicottaggio, risuonato in lungo e in largo nella rete, e quanto lo stesso abbia assestato un duro colpo alle vendite e l’immagine del marchio Bud Light stesso. La risposta iniziale di Anheuser-Busch, la casa madre di Bud Light, è stata lineare, per quanto da molti definita scialba.

L’azienda si è concentrata nel porre la collaborazione con Mulvaney come una delle numerosissime collaborazioni con i maggiori influencer della rete; tuttavia le dichiarazioni successive del CEO Brendan Whitworth, in coppia con le dimissioni dei responsabili della campagna, sono state considerate non solamente poco incisive, ma anche un tentativo di provare la tecnica del “Giano Bifronte” che non ha avuto altro risultato che non quello di attirare l’ira di entrambe le parti coinvolte nel dibattito. Per Bud Light, la scelta di aderire a valori e polarizzazioni, lontani da quelli del suo target tradizionale, per provare ad ammiccare ad un nuovo mercato si è rivelata un errore, poiché i consumatori storici si sono trovati a non riconoscersi più nel marchio.

Un marchio che, vale la pena sottolinearlo, non si posiziona certo come caratterizzante o deciso: Bud Light è un marchio di birre facilmente sostituibile con altri prodotti omologhi. Ed è forse questo a rendere la situazione ancor più delicata, perché i dati di mercato non solo raccontano l’efficacia del boicottaggio della marca, ma mostra come i diretti competitor Miller Lite e Coors Light abbiano beneficiato del loro essere prodotti sostitutivi della Bud Light, erodendo quote di mercato.

Il successo di Nike: valori condivisi e forza del marchio

Non che prendere posizione per temi sociali, anche divisivi, sia sempre un fiasco. Nike, il colosso dell’abbigliamento sportivo, nel 2018, ha sostenuto Colin Kaepernick, il quarterback famoso nel mondo, oltre che per le sue apprezzabili doti sportive, anche per aver iniziato la protesta contro le violenze della polizia americana sulla comunità nera inginocchiandosi sulle note dell’immancabile inno nazionale pre-partita.

In questo caso le proteste, così come le relative minacce di abbandono della marca, non hanno intaccato valore o quote di mercato del marchio, dimostrando come un’azienda possa sfidare le critiche e i boicottaggi solo se mantiene salda la sua posizione e sottolinea con forza i valori che intende difendere. Valori che, in questo caso, erano fortemente condivisi dalla clientela. In questo caso il brand è riuscito ad amplificare il messaggio, creando una perfetta sintesi tra la propria visione ed il sentire dei suoi clienti.

Il futuro del marketing emozionale

Episodi come quello di Bud Light spingono ad una profonda riflessione riguardo l’adozione del marketing emozionale da parte delle aziende: le aziende dovranno valutare attentamente se continuare a seguire questa la tendenza o se ripensare alle loro strategie per evitare di dividere i consumatori e compromettere gli investimenti effettuati per la riconoscibilità di marche e prodotti. 

La situazione porta a riflessioni che vanno oltre la semplice adesione a valori positivi o inclusivi, e ora che le strategie emozionali non sono più “a costo zero”, costringono a valutazioni di rischio ed impatto maggiormente articolate.

In primo luogo, le aziende devono essere consapevoli di come l’adesione, o la dichiarazione di empatia, per qualunque tema o valore sociale, abbia ora un costo tangibile, legato a doppio filo alla capacità di amplificazione della rete: è fondamentale comprendere le possibili ripercussioni delle proprie scelte e pianificare strategie adeguate per affrontarle.

In secondo luogo, diventa sempre più importante analizzare e comprendere il profilo psicologico e valoriale dei propri segmenti di clientela: solo in questo modo diventa possibile sviluppare campagne di marketing che rispecchiano autenticamente i valori condivisi con il pubblico di riferimento, riducendo il rischio di alienare la più grande fetta del proprio mercato, con ripercussioni potenzialmente disastrose.

Infine, le aziende dovranno affrontare le polarizzazioni presenti nella società, decidendo consapevolmente se abbracciare o meno determinate posizioni. Questo implica anche essere pronti ad accettare il costo potenziale delle decisioni prese, valutando accuratamente il giusto equilibrio tra l’affermazione dei propri valori e la salvaguardia dell’immagine e delle vendite del marchio.

Il marketing emozionale sta diventando sempre più sfidante, le aziende che sapranno navigare con saggezza tra le polarizzazioni e rimanere fedeli ai valori condivisi con i propri consumatori potranno emergere vincenti in un contesto competitivo sempre più complesso e soprattutto ora che l’adesione ad alcuni principi ha un “costo aziendale” sarà più semplice per il consumatore valutare quali marchi aderiscono davvero alle campagne emozionali e quali, invece, si asterranno perché alla fine, “business is business”…

 

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Professore a contratto (in Corporate Reputation, in CyberSecurity e in Data Driven Strategies) è Imprenditore, ha fondato The Fool, la società italiana leader di Customer Insight, co-fondato The Magician un Atelier di Advocacy e Gestione della Crisi, ed è Partner e co-fondatore dello Studio Legale 42 Law Firm. È Presidente di PermessoNegato APS, l'Associazione no-profit che si occupa del supporto alle vittime di Pornografia Non-Consensuale (Revenge Porn) e co-fondatore del Centro Hermes per la Trasparenza e i Diritti Digitali. È stato Future Leader IVLP del Dipartimento di Stato USA sotto Amministrazione Obama nel programma “Combating Cybercrime”, conferenziere, da anni presenta "Ciao Internet!" una seguita video-rubrica in cui parla degli Algoritmi e delle Regole che governano Rete, Macchine e Umani. Padrone di un bassotto che si chiama Bit, continua a non saper suonare il pianoforte, a essere ostinatamente Nerd e irresponsabilmente idealista.