«Io ho fiducia nella giustizia, però…», dice uno sconsolato Cosimo Ferri ai giudici della Sezione disciplinare del Csm che dovranno decidere se potrà continuare ad indossare la toga quando terminerà il mandato parlamentare o se invece sarà costretto a fare la fine di Luca Palamara, cacciato con ignominia dalla magistratura.
Ferri è sotto procedimento disciplinare per aver partecipato all’incontro serale di maggio del 2019 all’hotel Champagne di Roma, unitamente a cinque consiglieri del Csm, a Luca Palamara e al collega Luca Lotti, in cui si discusse fra le varie cose della nomina del nuovo procuratore di Roma. La Sezione si è già espressa per Palamara, radiandolo dalla magistratura, e per i cinque consiglieri, sanzionandoli con la sospensione da uno a due anni dalle funzioni. Per Ferri è molto probabile, visto il ruolo avuto, che la Procura generale della Cassazione chieda, come per Palamara, il massimo della pena per aver voluto condizionare le scelte del Csm.
La toga di Pontremoli in questi mesi sta vendendo cara la pelle, mettendo nel mirino i finanzieri del Gico che l’hanno intercettato abusivamente, e ricusando i vari giudici del collegio disciplinare. Sulle intercettazioni ha avuto ragione: la Giunta per le autorizzazioni della Camera ha negato il mese scorso il loro utilizzo. Prima di Natale, invece, si è discussa la più importante di queste ricusazioni, quella nei confronti di Giuseppe Cascini, ex aggiunto a Roma ed esponente di punta della sinistra giudiziaria da sempre contrapposta alla corrente conservatrice di Magistratura indipendente della quale Ferri, e prima di lui il padre Enrico, sono stati i massimi rappresentanti. I motivi della ricusazione erano principalmente due: una mail inviata da Cascini il 28 febbraio 2015 alla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati e all’allora segretario di Mi nella quale si stigmatizzava il comportamento di Ferri che, a giudizio di Cascini, era entrato in quel periodo nella compagine governativa quale sottosegretario per interesse personale; e una dichiarazione rilasciata da Palamara al gup di Perugia Piercarlo Frabotta relativa ad un incontro avuto con Cascini nel corso del quale quest’ultimo gli avrebbe perentoriamente detto: «Non frequentare Ferri, non te lo dico più!».
La sezione disciplinare ha interrogato Cascini per avere chiarimenti. «Io credo che Palamara – esordisce Cascini – faccia confusione. L’incontro in cui abbiamo fatto un accenno all’onorevole Ferri non è del primo ottobre ma dei primi di settembre, incontro che mi fu chiesto da Palamara per parlare della elezione del vicepresidente. In quella occasione lui mi chiede il sostegno per l’onorevole Ermini». Cascini avrebbe fatto riferimento ad un incontro avuto con Palamara ai primi di settembre del 2018 poiché David Ermini era stato eletto vicepresidente del Csm il 27 settembre di quell’anno. Le dichiarazioni di Palamara al gup di Perugia fanno però riferimento ad un incontro successivo alla predetta elezione che vi sarebbe stato ad ottobre e che quindi non poteva avere ad oggetto l’elezione di Ermini. E che questo incontro, oltre a quello di settembre di cui parla Cascini, vi sia effettivamente stato non vi è dubbio poiché vi sono i messaggi sequestrati dalla Procura di Perugia nel telefonino di Palamara che documentano sia l’incontro di settembre che quello di ottobre, entrambi peraltro ad iniziativa dell’ex aggiunto romano e non di Palamara.
“Riusciamo a vederci un attimo domani?”, scrive Cascini a Palamara il 6 settembre 2018.
“Si ok”, risponde Palamara.
Cascini: “Alle 10.30 ok per te? Dove?”.
Palamara: “Settembrini (un noto bar della Capitale, ndr)”.
“Domattina ci prendiamo una cosa insieme?”, scrive ancora Cascini il 4 ottobre successivo.
“Ok con piacere”, risponde Palamara. I due si danno quindi appuntamento sempre da Settembrini.
Leggendo alcuni messaggini di Palamara con i colleghi, si è scoperto che l’oggetto dell’incontro con Cascini non era però la nomina di Ermini. Uno di questi è quello inviato dalla magistrata Silvana Sica il 28 settembre 2018 a Palamara: “Mi ha scritto Peppe (Cascini, ndr).
“Andasse a fare in culo”, risponde secco Palamara.
Sica: “Ti giro il messaggio ma non dirlo mi raccomando”. Questo il testo: “Sono molto amareggiato per quello che è successo. Il pensiero che molti, compreso Luca, possano pensare che c’entri qualcosa con quell’articolo mi suscita grande rabbia e tristezza. Tu sai bene che io non sono quel tipo di persona. Sono mesi che ho questo enorme peso sulle spalle. Senza poterne parlare con nessuno. Tantomeno con Luca. Sapevo da tempo che la cosa girava tra i giornalisti. Ma cosa potevo fare per impedirlo?”.
A cosa fa riferimento Cascini? All’articolo del Fatto Quotidiano di quei giorni con cui si dava la notizia dell’indagine di Perugia a carico di Palamara per corruzione. Indagine nata da un fascicolo trasmesso nel capoluogo umbro proprio da Cascini il maggio precedente e che aveva fatto naufragare i sogni di gloria di Palamara, anch’egli in corsa per diventare aggiunto a Roma. Su chi abbia dato la notizia del procedimento umbro al Fatto, e su chi l’anno dopo abbia dato al Corriere, a Repubblica e al Messaggero i colloqui avvenuti all’hotel Champagne registrati con il trojan nel cellulare di Palamara resterà per sempre un mistero. Nessuno in questi anni ha mai fatto indagini, pur a fronte delle denunce di Palamara e dello stesso Ferri. Tornado a quest’ultimo e alla sua ricusazione, il collegio, presieduto da Fulvio Gigliotti e composto da due toghe di Mi, Loredana Miccichè e Antonio D’Amato, si è riservato di decidere nei prossimi giorni.