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Le competenze del Csm si sovrappongono a quelle del Ministero. Quel ruolo che va oltre le mansioni volute dai Costituenti

Il Csm ha dunque i mezzi e gli strumenti per promuovere strategie e linee d’azione e a tal fine, per fare qualche esempio, elabora linee guida e buone prassi in materia organizzativa e processuale; fissa soglie di produttività minime e massime per i magistrati (il riferimento è agli standard medi di rendimento e ai carichi esigibili nazionali); ha creato varie figure e strutture di supporto al lavoro degli uffici giudiziari che rappresentano dei veri e propri “avamposti” dislocati sul territorio (v. la struttura tecnica per l’organizzazione, le commissioni flussi, l’ufficio distrettuale per l’innovazione, i magistrati di riferimento per l’informatica e l’innovazione, c.d. magrif, ecc.); ha istituito un proprio datawarehouse e un ufficio statistico.
Oltre le mansioni dei Costituenti
A poco serve interrogarsi se queste competenze discendano implicitamente dalle mansioni che i Costituenti avevano voluto attribuirgli, perché tale dibattito (certamente di rilievo sul piano teorico) appare sterile sul piano pratico, in quanto superato dalla realtà dei fatti. Tale realtà ci consegna un Csm che dedica buona parte della sua attività a questioni di organizzazione giudiziaria. Due considerazioni generali sono però ineludibili. In primo luogo, le competenze organizzative del Csm tendono in vario modo a sovrapporsi a quelle del Ministero della Giustizia. La relazione tra il Csm e il Ministro della Giustizia è sempre stata di difficile interpretazione. Oggi, tuttavia, non sembra peregrino affermare che l’organizzazione degli uffici giudiziari sia frutto della co-gestione dei due organi, perché le competenze si integrano, si confondono ed è spesso difficile trovare una linea di demarcazione tra i compiti dell’uno e dell’altro.
Non solo: grazie al collegamento costante con gli uffici, il Csm sembra porsi come interlocutore privilegiato in tema di innovazione organizzativa e modernizzazione della giustizia, complice anche una crisi di centralità del Ministero della Giustizia, non sempre in grado di fornire risposte adeguate e tempestive rispetto alle attività di sua competenza (si pensi solo al fatto che negli uffici giudiziari le posizioni di dirigente amministrativo presentano un tasso di scopertura intorno al 50%). Formalmente però, e qui sta il punto centrale, il Ministero rimane l’unico responsabile di fronte al Parlamento ai sensi dell’art. 110 Cost. “dell’efficienza dell’organizzazione giudiziaria e, in particolare, della sua corrispondenza alle previsioni di legge mediante l’utilizzo di tutte le risorse materiali, finanziarie e personali che le leggi stesse pongono a disposizione della giustizia” (vengono qui richiamate le parole della Commissione Paladin). Non è chiaro invece come, cioè in quali termini e modalità, il Csm sia chiamato a rendere conto delle proprie azioni in materia organizzativa.
La seconda questione
Questa mancanza di accountability si collega a una seconda questione. Considerata l’ampiezza delle attività svolte (per una verifica v. la sezione “organizzazione, innovazione e statistiche” del sito www.csm.it) ci si può legittimamente chiedere quali risultati siano stati raggiunti in termini di funzionalità degli uffici giudiziari. Le buone prassi, ad es., sono generalmente definite con un processo tutto interno alla magistratura (basato sulla proposta dell’ufficio giudiziario e la successiva validazione da parte del Csm) e non vi sono riscontri concreti sulla loro efficacia, diffusione e/o stabilizzazione. Oltre a ciò, l’affidare ai magistrati maggiori compiti e responsabilità nella gestione degli uffici giudiziari può avere una duplice conseguenza. Da un lato, aumenta formalmente l’indipendenza della magistratura (evitando il rischio di una gestione esterna, come sostiene lo stesso Csm); dall’altro però distoglie importanti risorse dalla funzione giurisdizionale che già soffre di carenze di organico. Per esempio, nelle sole strutture e funzioni organizzative afferenti all’informatizzazione e innovazione sono coinvolti oltre 850 magistrati, di cui quasi 700 con un qualche tipo di esonero dal lavoro giudiziario. L’investimento di personale è dunque notevole. Il coinvolgimento dei magistrati nell’organizzazione dell’ufficio li rende sicuramente più consapevoli e partecipi nel raggiungimento degli obiettivi programmati, ma allo stesso tempo li distoglie dall’esercizio della giurisdizione e quindi dallo svolgere i compiti che spettano loro in via esclusiva. Se è questa la direzione che si vuole perseguire, bisogna valutarne bene le conseguenze, proprio dal punto di vista dell’efficienza generale dell’intero sistema giudiziario.
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