Nelle liberal-democrazie, meglio, in tante di esse, si condanna la pena di morte. Sono tante le ragioni: relative al Diritto e ai Diritti, al rispetto della vita umana, alla certezza di una pena che non può essere una condanna senza fine, possibilità di ravvedimento, di crescita, persino di espiazione, di una “nuova vita”. Anche in caso di colpevolezza, in cui il giudicato rifletta una verità storica. Perché sappiamo, sull’esempio di uno dei Paesi più trasparenti, gli USA, che ancora la applicano in alcuni Stati, quante persone giustiziate sarebbero state negli anni scagionate, se ancora in vita.

È difficile pensare che Matteo Messina Denaro possa essere considerato “vittima” di un cumulo di errori giudiziari, vista la mole di sentenze definitive e di delitti che ha determinato o a cui ha collaborato secondo le autorità competenti. Ma proprio questo rende la sorte di Messina Denaro della massima importanza per ciascun di noi. Soprattutto per due ragioni. La prima: se persino uno dei “Caini” per eccellenza vedesse i propri diritti e la propria vita rispettati, allora lo sarebbero anche quelli di tutte le persone detenute. E, quindi, per questa via, avremo maggiori garanzie anche per i diritti, le vite e la sicurezza di tutta la società, anche quella non ristretta in istituzioni totalitarie. Ma l’altra ragione è forse ancora più importante. Messina Denaro non può non sapere tante cose forse neppure immaginate dalla pubblica opinione, su fatti del nostro Paese e forse non solo. È sicuramente stato testimone di fatti importanti. Conosce complicità. Conosce colpevoli, ma pure innocenti. Potrebbe fare luce su tanti accadimenti.

Ma noi già sappiamo che con ogni probabilità Messina Denaro finirà sepolto nei meandri più inaccessibili del 41 bis; quindi, per lui nessuna possibilità di riabilitazione sarà possibile, anche a prescindere dall’eventuale alea dell’ergastolo ostativo che purtroppo il Governo non ha abolito per reati di mafia e terrorismo malgrado la pronuncia della Consulta del 15 aprile 2021 che valeva, e non poteva essere diversamente, per tutti i reati. Sarà sottoposto a un regime carcerario duro e afflittivo dove subirà una accelerazione del decorso delle sue gravi patologie. Perché questo comporta il 41 bis. Già per i detenuti “comuni” le cure mediche e psicologiche sono un miraggio sovente lontano. E abbiamo anche il drammatico precedente di Bernardo Provenzano, tenuto in 41 bis invalido e di fatto incapace di intendere e volere, fino alla morte. Una pena disumana. Non giustizia, ma l’opposto: vendetta pura e semplice. O il silenziamento di un possibile testimone di eventi scomodi o compromettenti.

Come accadde, per fare un esempio, a Saddam Hussein che fu catturato, processato e giustiziato a gran velocità alla fine del 2006. Marco Pannella tentò di salvarlo – e con lui il “diritto alla conoscenza” – con la campagna “Nessuno tocchi Saddam” e uno sciopero della sete drammatico che lo portò alla soglia della dialisi. E lo fece perché aveva un valore per i “Caini ignoti”, per qualsiasi altro detenuto e per qualsiasi altro cittadino. Persino per la nostra sicurezza, per e grazie al “diritto a conoscere”. Le condizioni di salute, di cura e di detenzione di Matteo Messina Denaro diventeranno emblematiche, e potrebbero suscitare una vera presa di coscienza della realtà del carcere, del suo significato costituzionale tradito, del diritto alla dignità, alla salute, e al reinserimento di tutte le persone detenute. E anche la conoscenza della giustizia in Italia, delle tante sue necessità di riforme strutturali. Proprio negli scorsi giorni il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha illustrato in Parlamento un ambizioso piano di riforme, ma per realizzarle serve una opinione pubblica informata.

Questo richiederebbe che si potesse dibattere sui media principali dei problemi di giustizia, carceri, e delle pene, così come delle proposte e soluzioni radicali di riforma. Cosa da sempre negata, vietata. Anche e soprattutto sulle reti del servizio pubblico radiotelevisivo esercitato in condizioni di monopolio dalla RAI. Una RAI che resiste persino alla condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 31 agosto 2021 nei confronti dello Stato italiano per tanti anni di informazione non completa, legale e pluralista nei talk show. Per riformare una qualsiasi cosa serve che tutti coloro che possono portare contributi possano far conoscere le loro opinioni e proposte alla pubblica opinione. Mentre, anche in occasione dell’arresto di Messina Denaro, abbiamo unicamente la sfilata televisiva di chi è per mantenere lo stato attuale inaccettabile delle cose, leggi d’emergenza e regimi speciali. Hanno spazio solo, direbbe Sciascia, i “professionisti dell’antimafia”, magistrati e opinionisti giustizialisti. I garantisti, o meglio i riformatori, mai.