Le donne di Napoli: da Partenope alle Madonne della street art, viaggio nella città più femmina d’Italia

Napoli è femmina, è figlia di una sirena e del suo canto. Tutti sanno che la prima città fondata dai greci sul monte Echia prese il nome di Partenope, in onore della sirena che si suicidò per non essere riuscita ad incantare l’astuto Ulisse. Ma non tutti sanno che le sirene nell’antichità non erano metà donna metà pesce come la sirenetta della Disney. Questa iconografia si diffonde a partire dal Medioevo grazie al contatto con le culture dei popoli del nord Europa.

Nell’antichità le sirene erano delle arpie: metà donna metà uccello rapace. A Napoli c’è una rappresentazione fedele alle sembianze originali della sirena omerica a Via Giuseppina Guacci Nobile, dove si conserva una fontana di marmo appartenente alla Chiesa di S.Caterina della Spinacorona, che rappresenta la sirena Partenope con le ali e le cosce da uccello rapace e il busto di donna, dai cui seni sgorga l’acqua (ecco perché è chiamata anche fontana delle zizze) che spegne la lava del Vesuvio e che rappresenta il lac Virginis, il latte salvifico. Sul lato destro del vulcano si nota un violino che rimanda alla natura di divinità musicale di Partenope, come intesa da Platone. Napoli, quindi, è nata sotto il segno della musica.

Sancha di Maillorca

Dall’antichità facciamo un salto nel Medioevo. La storia della donna coincide spesso con le storie di tante donne che non sono state libere di fare quello che volevano nella vita: quella di Sancha di Maillorca (o d’Aragona) è la storia di una donna che desiderava ardentemente consacrarsi a Dio ma è stata costretta per motivi politici a diventare la seconda moglie del re di Napoli, il grande mecenate del Trecento Roberto d’Angiò.

Per esprimere la sua devozione, Sancha si fece promotrice della costruzione di molti conventi, come il monastero di S. Chiara, la Santa Casa dell’Annunziata e il convento di Santa Croce. Dopo la morte del re, accettò la reggenza del regno come tutrice dell’erede al trono, la giovanissima nipote Giovanna, ma una volta terminati i suoi compiti politici, realizzò finalmente la sua vocazione: prese i voti, si ritirò a vita monastica e morì come Suor Chiara.

Enrichetta Caracciolo

Al contrario di Sancha, innumerevoli donne sono state costrette alla vita monastica. Questa è la storia di una donna e del suo diritto alla libertà: Enrichetta Caracciolo era un’adolescente vivace e animata dalla passione politica, quando un giorno a sua insaputa fu portata e rinchiusa nel convento di S. Gregorio Armeno. Provò a sciogliere i voti, ma fu accusata di eresia, punita e perseguitata con il divieto di leggere, scrivere, suonare il pianoforte.

Scappò dal convento, ma fu arrestata e incarcerata. Tentò il suicidio, ma riuscì solo a ferirsi, rimase in isolamento per un anno, dopodiché uscì ed entrò a far parte delle reti cospirative che preludevano all’Unità d’Italia. Dopo l’arrivo di Garibaldi, Enrichetta appese finalmente il velo al chiodo, sposò un patriota e diventò una giornalista impegnata soprattutto per l’emancipazione della donna, trasformando il suo dolore in qualcosa di costruttivo per tutte le donne.

Ogni donna una madonna

E arriviamo al presente con le sue forme d’arte contemporanea. Per le strade del centro di Napoli spicca una serie di immagini di madonne “sexy” che scandalizza i napoletani da circa un anno: è l’opera fraintesa di una street-artist napoletana, che vuole rimanere anonima, che ha saputo trasformare l’esperienza di violenza sessuale in un processo creativo. Un “amico” ha provato a spogliarla contro la sua volontà solo perché indossava una scollatura. Così ha elaborato il trauma studiando grafica e realizzando stencils che rappresentano madonne in decolté, non per dissacrare la Vergine, ma per estendere il concetto di sacralità ad ogni donna, indipendentemente da cosa indossa: ogni donna dovrebbe essere trattata con lo stesso rispetto, ogni donna è sacra come una madonna. Napoli, secondo l’artista, è la capitale della capacità di credere in se stessi.