Una millenaria misoginia ha cancellato dalla storia la donna. Quando non l’ha cancellata, l’ha compressa in ruoli marginali o, peggio, l’ha ridotta alla funzione di amante di personaggi famosi.

È tempo di dare pane al pane e vino al vino togliendo dall’ombra chi merita di stare in piena luce. Studi recenti si sono soffermati sull’importanza, nella famiglia Medici, delle mogli di Cosimo il Vecchio e di Lorenzo il Magnifico oltre che sul ruolo decisivo esercitato dalla madre di Cosimo, primo granduca di Toscana. Senza le loro relazioni e senza l’educazione impartita ai figli, la storia medicea prenderebbe una piega diversa. Un passo indietro e ti immergi nel Medioevo per scoprire una quarantina di scrittrici in latino, greco, lingue romanze, tedesco, arabo, ebraico che non temono confronti con scrittori entrati nelle antologie e tutt’oggi studiate da ragazze e ragazzi di mezzo mondo.

Ma se vuoi veramente risalire la china e stabilire la verità del racconto storico devi soffermarti sul primo Novecento, l’età dell’uomo forte, del fiorire dei partiti di massa guidati da uomini che in testa e nel cuore hanno solo la fede politica, alieni da ogni sentimentalismo, dediti alla loro missione e basta. Non è così.

Quando l’Italia svolta verso il regime, tra la seconda metà del 1924 e l’inizio del 1925, sono almeno quattro le donne che influiscono sull’operato e sulle scelte dei protagonisti del tempo. Accanto a Mussolini, a Turati, a Gramsci e a Matteotti trovi, e mai emarginate, Margherita Sarfatti, Anna Kuliscioff, Giulia Schucht e Velia Ruffo.

Di Margherita abbiamo già detto: storica dell’arte, promotrice del Futurismo e della Biennale di Venezia, consigliera e amante del Duce.

Anna Kuliscioff è la compagna e la ‘mente’ di Turati. Lungimirante, straordinarie esperienze di vita alle spalle, sua la redazione dei primi disegni di legge per proteggere gli orfani e sul divorzio, sua la prima lettura realistica del fascismo. Nell’ora più buia intuisce perfettamente il destino dell’Italia, propone soluzioni che non verranno accettate dall’Aventino. Solo dopo il 3 gennaio 1925, all’indomani del discorso di Mussolini a Montecitorio, le daranno ragione.

Giulia ha dato un figlio a Gramsci, è a Mosca e Antonio non pensa che a lei. Ha il cuore in subbuglio, travolto dal primo amore della sua vita. Il segretario del Pcd’I, la cui vita è stata raccontata a senso unico, politica, politica, solo politica, dopo il rapimento di Matteotti ha invece la testa e il cuore occupati quasi interamente da lei. Chi non crede si legga le lettere: bellissime, poetiche, un inno all’amore. ‘Senza di te sono un punto interrogativo nell’infinito’. È Gramsci che scrive, non un poeta.

Velia è la vedova di Giacomo, un’ombra notturna dopo la morte del marito. I due si sono amati profondamente, lei è sempre stata al suo fianco anche se, politicamente, non condivide nulla di lui. La sua presenza è indispensabile: è lei che gli dà forza, lo sostiene nei frangenti più duri, lo convince a non indietreggiare. Arriverà a scrivergli: ‘Non ti è consentita nessuna vilta’, dovesse costarti la vita’. Sarà proprio Velia a recarsi da Mussolini per chiedere, in un incontro drammatico, la restituzione del cadavere di Giacomo.

Mi fermo qui e so bene che potrei citare altre decine di donne che hanno rovesciato la storia del mondo. La dimensione sentimentale è parte significativa delle scelte che si compiono. Espungerla trasformando gli uomini in automi è peggio di una bestemmia in chiesa. Ed è una bestemmia ancora più grande, un crimine addirittura, espungere dalla storia le donne riducendo il racconto a un’epica tutta di sesso maschile. Quel che si deve fare è correggere in fretta, a cominciare dai manuali.