L'accordo tra Sanchez e Puigdemont
Le due anime della Catalogna, Costa: “L’accordo tra Junts e socialisti è un punto di arrivo e di partenza”
La nomina di Pedro Sanchez a primo ministro di Spagna ha riportato in auge il tema della Catalogna. Junts per Catalunya, il partito di Carles Puigdemont, è stato decisivo affinché il leader socialista raggiungesse la maggioranza assoluta del Congresso. L’accordo ha però comportato condizioni dure per il Psoe. La più importante delle quali è l’amnistia per i condannati dopo il referendum secessionista del 2017, dichiarato incostituzionale. Elemento caro a Puigdemont, fuggito dalla Spagna per evitare la giustizia di Madrid. La questione ha diviso l’opinione pubblica spagnola, ma divide la stessa Catalogna, che non è tutta secessionista e dove la convivenza resta un punto interrogativo. Ne abbiamo parlato con due personalità che rappresentano le due visioni opposte. Elda Mata Miró-Sans, presidente della Societat Civil Catalana, impegnata nel promuovere l’unità di Madrid e Barcellona, e il professor Josep Costa, giurista ed esponente di spicco del movimento indipendentista.
Conversazione con Josep Costa, professore della Universitat Pompeu Fabra, fautore dell’indipendenza della Catalogna dalla Spagna.
Professor Costa, l’accordo siglato tra Junts per Catalunya e Partito socialista per la fiducia a Pedro Sanchez può essere considerato un punto di arrivo o un punto di partenza per il movimento indipendentista?
«Credo che l’accordo sia in questo senso un punto di arrivo per Junts, poiché questo significa un cambiamento significativo nella loro strategia. Per quanto riguarda invece l’intero movimento per l’indipendenza, il patto dovrebbe essere il punto di partenza di un nuovo movimento: con nuove strategie, nuovi leader e possibilmente anche nuove organizzazioni».
Cosa risponde a chi vede nell’accordo per l’amnistia una violazione della separazione dei poteri e dello Stato di diritto per la Spagna?
«Rispondo che il Consiglio d’Europa, dopo aver indagato sulla situazione in Catalogna, ha chiesto che i politici non siano perseguiti per le dichiarazioni rese nell’esercizio del loro mandato politico, e questo lo si vede nella risoluzione 2381 del 2021. E questo, a mio avviso, implica che la separazione dei poteri sia stata violata in primis dalla magistratura spagnola. La maggior parte delle misure dell’amnistia erano raccomandate in quella risoluzione».
L’indipendentismo punta a un nuovo referendum secessionista? Se è così, su quale base giuridica se il precedente del 2017 è stato dichiarato in via definitiva incostituzionale?
«Non esiste ancora una nuova strategia accettata da tutti i partiti e le organizzazioni del movimento secessionista. Alcuni ritengono che non sia necessario tenere un altro referendum (perché quello del 2017 è ancora valido), altri pensano che dovrebbe essercene un altro senza necessariamente rispettare alcuna legge spagnola, e infine alcuni pensano che dovrebbe esserci un accordo con la Spagna per organizzare un nuovo voto dentro la cornice della Costituzione spagnola. La Catalogna ha indetto un referendum sulla base del diritto internazionale all’autodeterminazione dei popoli».
Molti catalani sono indipendentisti, ma molti altri non lo sono. Come può un movimento separatista relazionarsi con una frattura così netta nella società? Non si tratta solo del tradizionale “destra contro sinistra”, ma anche di rompere un patto sociale. Come ci si può confrontare con il tema di coloro che legittimamente non vorrebbero uno Stato catalano?
«Una larga parte dei Paesi esistenti è stata creata negli ultimi secoli. Non c’è mai stato un sostegno unanime per la creazione di questi nuovi Stati, ma, ciò nonostante, una volta creati, le persone erano felici di essere considerate cittadini a pieno titolo del nuovo Stato. Non c’è nulla di nuovo o di diverso nel movimento indipendentista catalano. E nessun Paese è pronto a rinunciare alla propria indipendenza. Proprio come coloro che legittimamente vogliono l’indipendenza hanno accettato lo status quo quando erano in minoranza, ci si dovrebbe aspettare lo stesso da coloro che si oppongono. Inutile dire che la legittimità del nuovo Stato si basa sul presupposto che sarà uno Stato pienamente democratico e rispettoso della legge, che riconoscerà le minoranze come cittadini a pieno titolo, e anche la possibilità di doppia cittadinanza».
Da tutto questo, c’è un rischio per l’Europa?
«Il rischio per l’Europa è quello di consentire la soppressione dei diritti fondamentali e delle procedure democratiche in nome della “stabilità”, poiché non ci sarà stabilità senza consentire alle persone di prendere le proprie decisioni».
Secondo lei, professore, qual è l’errore più grande commesso dal separatismo e, dall’altro lato, l’errore più grande commesso dallo Stato centrale nei confronti della Catalogna?
«L’errore più grande commesso dalla Spagna è stato quello di reprimere le richieste democratiche con misure antidemocratiche, come perseguire i leader politici o destituire e rinchiudere un intero governo eletto. L’errore più grande commesso dai leader secessionisti è stato quello di cedere a tali misure. In questo senso erano ingenui riguardo al modo in cui la Spagna avrebbe reagito alle loro legittime aspirazioni».
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