Pizze e bici non bastano
Le falle del piano di de Magistris per la ripartenza
Finiva l’Ottocento e Matilde Serao puntava il dito contro “le descrizioncelle della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto e dei vapori incantevoli del tramonto.” Donna Matilde – ha ricordato Rosario Rusciano su Repubblica – parlava ad Agostino Depretis che – beninteso – non era de Magistris. Ma più ancora polemizzava con chi, in una Napoli luccicante a Chiara e immiserita altrove, si illudeva di poter ridurne a “retorichetta” la complessità. Ora ne è passato di tempo, ne sono successe di cose e sta anche per finire – incrociamo le dita – la “fase uno” dell’emergenza da Covid-19.
Eccoci però, come se nulla fosse, a sentir dire ancora una volta che saranno il sole e il mare a salvare la città. Peccato solo – si è rammaricata l’assessore Palmieri – che ai guai di sempre si è aggiunto un problema in più: quell’ “accidente umano, così ha definito noi tutti capitati su questo mondo, di cui non si può ignorare la presenza. Ma di questo si è già parlato. Ora la versione aggiornata della retorichetta napoletana ruota intorno a una nuova coppia di parole, altrettanto magica. Non più sole e mare, ma pizza e bici. È infatti sui piatti delle “margherite”, che finalmente potranno essere consegnate a casa, e lungo le costruende piste ciclabili di cui parla il sindaco, che potrà essere servita la Napoli del dopo-virus, la Napoli del futuro. Nulla di male, da qualche parte bisogna pur ricominciare.
Ma pur considerando che la pizza rimanda al problema più generale del turismo e la bici a quello della mobilità, i conti comunque non tornano, perché il Covid-19 ha mandato tutto all’aria. E tutto deve essere ripensato. Così, se da un lato ovunque nel mondo il turismo non è più considerato una certezza assoluta, tanto è vero che Ursula Von der Leyen ha appena affidato al commissario europeo Thierry Breton il compito di elaborare un piano di circa 300 miliardi per “soccorrere, ricostruire e reinventare” l’intero settore; dall’altro, Napoli non è piatta come Bologna o Milano, per cui attraversarla pedalando può essere “una” soluzione, non “la” soluzione.
Tanto più che, in quanto a piste ciclabili e “bike sharing”, il Comune ha finora collezionato soltanto pessime figure. Un servizio di biciclette in fitto Napoli non lo ha da tempo. Nel 2012, l’associazione Cleanap realizzò un progetto di sperimentazione con fondi del Ministero dell’Istruzione, ma dopo tre anni il servizio fu abbandonato a se stesso e i successivi bandi del Comune sono poi andati sempre deserti. A parte le chiacchiere, è mancata la cultura della sharing economy. Questo è il punto. Ecco perché insistere sul binomio “pizza e bici” induce al sospetto e allo scetticismo.
Non a caso altrove ci si interroga sugli assetti complessivi delle città, sulle politiche urbanistiche, sul riequilibrio tra centro e periferia, sui centri storici da riempire con qualcosa che non siano solo i tavolini dei bar e i bed & breakfast. Quando, a Napoli, si parlerà di tutto questo? Riprogettare una città – perché di questo si tratta – implica molte altre cose. Vuol dire mettere mano alla digitalizzazione dei servizi, ai trasporti pubblici e privati (piaccia o non, torneremo a usare le auto), a una struttura produttiva ormai malridotta e all’intero – strategico – sistema scolastico. Per non parlare delle nuove case da costruire per le giovani coppie. Sempre che, anche negli anni a venire, non si voglia risolvere tutto con la retorica dolciastra sui “bassi” che fanno tanto folklore e tanta Napoli verace.
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