I due carabinieri uccisi e l'assassinio dell'attivista
Le foto inedite di Peppino Impastato: il legame nascosto tra l’eccidio di Alkamar e l’omicidio di Cinisi
L’ultima indagine di Peppino Impastato riguardava un traffico di armi e l’eccidio di Alcamo Marina. A rivelarlo sono le foto e le testimonianze che Il Riformista ha recuperato e che oggi stabiliscono un preciso legame tra la morte dell’attivista siciliano e il duplice omicidio avvenuto nella località balneare la notte del 27 gennaio 1976 quando un commando assalta la caserma locale e uccide due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo. Un crimine ancora oggi impunito e pesantemente depistato (come abbiamo raccontato nella prima parte di questa inchiesta).
Che l’attivista di Cinisi si fosse interessato al duplice omicidio è noto fin dal 2012 quando il fratello Giovanni lo rivela alla Procura di Palermo. “Peppino aveva una cartelletta dove raccoglieva informazioni sulla vicenda, era convinto del coinvolgimento dei Servizi, aveva delle fonti”. Oggi due nuove testimonianze e un gruppo di foto potrebbero riaprire questo legame nascosto.
Andrea Bartolotta, amico e sodale di Impastato nell’avventura di Radio Aut, racconta al Riformista che l’attivista “non aveva pace, non aveva mai mollato la sua personale inchiesta su Alkamar. La connetteva a campi para-militari e a traffici di armi. Era però molto accorto, ne parlava come di un lavoro di contro-informazione che doveva avere basi sicure prima di essere rivelato”. Le sue indagini finiscono in quella cartella. Bartolotta racconta questa storia alla Procura di Palermo nel 2015 e accenna a delle foto di sbarchi avvenuti tra Cinisi e Terrasini. Gli investigatori però non si interessano a queste immagini inedite che oggi il Riformista pubblica.
Ad averle scattate il 30 marzo 1978 è Paolo Chirco, che frequenta il gruppo “musica e cultura” e le fornisce a Impastato. Finisce così blindato nelle sue foto uno sbarco di casse da una nave americana, la “Santabarbara”, con l’ausilio di due elicotteri modello Sea Knight, velivoli utilizzati anche in zone di guerra. Le casse vengono depositate su una porzione di pista dell’aeroporto di Punta Raisi dove, come è visibile, vengono attese da una serie di camion e furgoni. La Santabarbara è una nave dedicata al trasporto di armi ed esplosivo.
Lo sbarco ricorda Chirco durò a lungo, almeno due giorni. Alcuni attivisti di Cinisi provarono a seguire i camion e si imbatterono in un arsenale alle porte di Palermo. Altre testimonianze affermano che il convoglio aveva imboccato l’autostrada in direzione Trapani. Lo sbarco si ripete il 25 ottobre 1978 quando Chirco scatta altre foto. Non sono però le uniche. Anche un altro componente del gruppo Impastato cattura le fasi dello sbarco, Agostino Vitale, dei cui scatti Chirco ne ha recuperato solo uno, il più nitido.
“La cartelletta di Peppino esiste, lui me ne parlò, Alkamar era un’ossessione. Per lui la strage, il traffico di armi e i capi paramilitari erano storie legate”, dice oggi Bartolotta che conferma come quelle foto “avevano catturato l’attenzione di Impastato”.
Tutto nasce all’indomani dell’eccidio: gli investigatori seguono la pista rossa grazie ad una telefonata di rivendicazione (uno dei tanti depistaggi) che indicava lo sbarco della lotta armata in Sicilia. Impastato e con lui centinaia di militanti vengono fermati e perquisiti. Una falsa pista costruita ad arte dalla quale si dissociò pubblicamente anche il comandate dei Carabinieri, Enrico Mino e che invece vedeva nel maggiore Giuseppe Russo il principale sostenitore.
La cartelletta era intitolata proprio così, ricorda ancora Giovanni Impastato, “strage dei due carabinieri ad Alcamo Marina”. Le foto di Chirco finirono lì? Impossibile dirlo.
Di certo il reperto sparì da casa Impastato la mattina del 9 maggio 1978, poche ore dopo la morte dell’attivista, durante un “sequestro informale”, una dicitura che non significa niente, quello era un atto illegale. Nel verbale non compare nessuna cartelletta, ma il fratello non è l’unico testimone che ricorda questo particolare. Bartolotta ha una precisa memoria del raccoglitore: “Peppino me ne parlò e sono sicuro che lo fece anche ad altri fidati compagni, ma non ho mai saputo cosa conservava, quali fonti aveva”.
Dall’archivio di Radio Aut spariscono anche i redazionali su Alkamar, le schede utilizzate per i notiziari. Secondo la Procura di Palermo ad aver materialmente compiuto il “sequestro informale” fu l’allora tenente dei Carabinieri Enrico Frasca. L’ufficiale, scomparso nella primavera scorsa, interrogato ha ammesso tutto: “Fui comandato dal mio superiore di allora, il maggiore Antonio Subranni di usare quella dicitura, sequestro informale. Fu la prima e ultima volta”.
Fermiamoci qui, proviamo a tirare le fila di questa lunga inchiesta in tre puntate.
Ad Alkamar 47 anni fa un commando ha operato con tecnica militare per uccidere due giovani carabinieri. Le indagini vengono depistate, si inventano “piste rosse”, si usano torture per far confessare un giovane con disturbi mentali e lo si contrabbanda per “anarchico”. In seguito alle torture coinvolge altri quattro ragazzi: anche qui botte, falsi verbali, confessioni estorte. Caso risolto.
A chiuderlo è il Colonnello Giuseppe Russo, che raccoglieva le confidenze di Tano Badalamenti e dei cugini Salvo. Impastato sapeva di questi rapporti mentre coltivava la sua ossessione per Alkamar e i traffici di armi. Muore nel maggio ’78, ucciso con metodi non mafiosi ma militari: niente lupara, legato ai binari con una carica di dinamite a pochi passi, cento metri appena, dal luogo degli sbarchi di armi avvenuti un mese prima. “Terrorista” fu la sentenza sbrigativa dell’allora maggiore Subranni a cui si oppose Rocco Chinnici. In quegli stessi mesi, lo raccontano due carabinieri in una intercettazione manipolata e scoperta dalla Commissione Antimafia, Subranni chiedeva ad un giudice di Palermo di archiviare il fascicolo sulle torture degli innocenti di Alkamar. Anche qui caso chiuso.
Nel 1988 muore Mauro Rostagno, è stata la mafia dicono tutti. Ma l’ultima indagine dell’ “irregolare” di Trapani era un traffico di armi, “istituzionale ma occulto”. Sparisce tutto, foto e video. Una testimone rivela ai carabinieri che ne aveva parlato a Giovanni Falcone. Sparisce il verbale e in seguito a minacce la teste esce di scena. Rostagno in quegli ultimi mesi di vita aveva una fonte, la compagna di un altissimo esponente degli apparati di sicurezza. Era lei ad avergli rivelato del traffico di armi? Per gli amanti delle coincidenze: interrogata al processo Rostagno la prima domanda che il Presidente della Corte le rivolge è: “signora lei ha sempre avuto i capelli biondi?”.
Nel 1993 una fonte degli apparati di sicurezza rivela il movente e i depistaggi di Alkamar ad un poliziotto: traffico di armi e uranio verso paesi africani gestito da militari: “Apuzzo e Falcetta dovevano morire”, dice al poliziotto, questione di sicurezza nazionale. Racconta di sbarchi da una nave, di un furgone carico di armi e materiale radioattivo, di un sito di stoccaggio: tutto sembra rimandare proprio alle foto del gruppo di Peppino Impastato. Lo specchio di mare è lo stesso. La fonte fa anche scoprire un misterioso arsenale in mano a due carabinieri, indica dove trovare una foto di una donna bionda “a conoscenza di tutti i traffici”. Prima che gli investigatori arrivino però scompare l’esplosivo. La foto, come abbiamo rivelato nella seconda puntata della nostra inchiesta, riapparirà invece solo nel 2008 ma raffigura una donna bruna. Coincidenze, stranezze, sparizioni.
Intanto a Trapani nel 2008 si riaprono le indagini sull’eccidio: anche stavolta indagini bluff e ancora depistaggi. Di nuovo caso chiuso.
Alcamo Marina è in piena Costa Gaia, tra Palermo e Trapani, nello stesso tratto di mare delle foto del gruppo Impastato. E questa lunga storia è la voragine di Alkamar, uno spazio oscuro infinito.
LE FOTO
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