Le giravolte sul reddito di cittadinanza del Pd: da ‘sciocchezza’ e ‘pagliacciata’ ad ‘accanimento contro la povera gente’

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse 27-09-2018 Roma Politica Deputati e Senatori del Movimento 5 Stelle festeggiano davanti Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei Ministri sul Def Nella foto Luigi Di Maio si affaccia dal balcone di Palazzo Chigi Photo Fabio Cimaglia / LaPresse 27-09-2018 Roma (Italy) Politic Deputies and Senators of the 5 Star Movement celebrate in front of Palazzo Chigi after the Council of Ministers on Def In the pic Luigi Di Maio

Sul reddito garantito la storia riserva sorprese, a guardarci dentro. La Cgil era scettica. “Lavoro per tutti, non carità pelose”, dicevano i duri e puri del sindacato. E la contrarietà del Pci pesò fino a bandirla dai programmi sul welfare del Pds, Ds e Pd. Almeno fino al 2017, quando fu nelle more del governo di Paolo Gentiloni, sospinto dal Pd guidato da Matteo Renzi, a lavorare su una misura inclusiva di contrasto della povertà.

Anche lì, “la Cgil minacciò di incatenarsi se soltanto ci avessimo pensato e il M5S non era arrivato alla lettera S nella lettura del dizionario”, ricorda con ironia il senatore di Iv, Davide Faraone. Fu con Renzi e Gentiloni che alle misure sperimentali SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva) – che nel 2015 raggiunse i 7 miliardi di spesa – e all’Assegno di disoccupazione (ASDI) venne fatta seguire una unica misura, il REI, che lo sostituisce dal gennaio 2018. La legge delega voluta allora dal Pd per il contrasto alla povertà seguiva il Dl 15 settembre 2017, n.147. In quel momento c’era Matteo Renzi, a guidare il Nazareno.

Il ministro del Lavoro e delle politiche sociali era Giuliano Poletti. E il Pd non era ancora diventato l’alter ego del Movimento Cinque Stelle. L’attenzione alle politiche di inclusione era alta, ma non demagogica. Nel 2019 il Pd si schiera contro il Rdc, criticandolo in più occasioni. La proposta del Pd era quella di potenziare il reddito di inclusione e di non mischiare la lotta contro la povertà con le politiche attive per il lavoro. La deputata Dem Roberta Nardi nel 2018 depositerà il testo di una proposta di legge per istituire il Lavoro minimo garantito. Altroché reddito. Altroché divano. E non era, questa, la posizione dei soli riformisti del Pd.

Si veda, nel novembre 2018, l’intervista con Il Sole 24 Ore Francesco Boccia – all’epoca deputato del PD, oggi capogruppo al Senato del partito – aveva definito il reddito di cittadinanza una “sciocchezza”. “La priorità è creare lavoro e accompagnare chi lo ha perso verso un nuovo impiego. La risposta alla povertà è il reddito di inclusione, che va rafforzato”, aveva dichiarato Boccia.

Antonio Misiani, oggi responsabile economico della segreteria Dem, era impietoso: «Il reddito di cittadinanza penalizza le famiglie con disabili e anche quelle numerose, dove è maggiore il tasso di povertà». Anche l’ex segretario del PD Zingaretti è stato tra i critici del reddito di cittadinanza.

A novembre 2018, ospite a Omnibus su La7, Zingaretti – che alcuni mesi dopo sarebbe salito alla guida del partito – aveva dichiarato: “Invece di questa pagliacciata sul reddito di cittadinanza, che nessuno sa cos’è, mettiamo i soldi sul reddito di inclusione, che amplia la base e fra qualche mese porterebbe gli assegni nelle case degli italiani”.

Quando il Reddito di cittadinanza arrivò in Parlamento, il Pd votò contro.
Nel corso della discussione, il perché della netta ostilità Dem sul Rdc lo aveva ben spiegato il senatore dem Edoardo Patriarca: “Nel provvedimento al nostro esame il bene che proponete è confuso e intriso di una burocrazia asfissiante. Vi è una sequenza di procedure e di tempistiche irrealizzabili. E a pagare saranno i poveri”. “Non è un diritto per tutti – scandiva Patriarca – e state creando un’aspettativa che produrrà ancora più delusione ed incertezza: le persone e le famiglie fragili tanto evocate nei vostri interventi non meritano illusioni e false speranze. Proprio non le meritano e non se lo possono neppure permettere”.

Allora era il Pd, ancora nei suoi panni e senza la crisi di identità che lo travolgerà ai giorni nostri, a dire che “povertà sociale e povertà di reddito vanno distinte: la povertà di reddito si combatte con l’occupazione, producendo lavoro, mentre la povertà sociale si combatte con la presa in carico. Sono due percorsi diversi”, sentenziava Patriarca, con il collega Tommaso Nannicini (un altro dei ‘padri’ del Rei) a dirla apertamente: “Continuate a confondere contrasto alla povertà e tutela della disoccupazione. Può accadere che un povero non sia occupabile e può accadere che un disoccupato non sia povero. Entrambi hanno bisogno di una garanzia del reddito e di servizi, ma diversi”.

“Lo stesso Maurizio Martina, che era diventato Reggente del Pd, ribadirà la sua contrarietà: “La strada giusta è il rafforzamento del Rei”.
Passano gli anni. E arrivano le conversioni, le inversioni a U. Prima che il Pd perdesse completamente la bussola, consegnandosi con le mani alzate a Grillo e a Conte.