Il commento
Le guerre commerciali non hanno mai avuto vincitori, Trump dimentica la lezione e usa i dazi come arma geopolitica

Trump lo ha chiamato “Liberation Day“, il giorno in cui gli Stati Uniti si “liberano” dalle tariffe internazionali per favorire la produzione nazionale. Un nome evocativo per una strategia che mira al cuore della relazione transatlantica con gli alleati europei. Le relazioni commerciali tra Stati Uniti ed Europa sono sempre state segnate da cicli alterni di cooperazione e tensione, spesso scanditi dall’imposizione di dazi. Ma se in passato questi strumenti servivano a proteggere l’industria americana in un contesto meno interconnesso, oggi sono armi geopolitiche con conseguenze potenzialmente disastrose sull’economia globale.
Già tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, gli Stati Uniti adottarono politiche protezionistiche per tutelare le industrie nascenti e garantire entrate fiscali. Nel 1913 l’Underwood-Simmons Tariff Act segnò una prima svolta verso il libero scambio, ma la crisi del 1929 portò all’approvazione dello Smoot-Hawley Tariff Act, che aumentò nuovamente e drasticamente le tariffe su oltre 20mila beni importati. Questa misura scatenò ritorsioni da parte di numerosi partner commerciali, inclusi i Paesi europei, e contribuì a una contrazione del commercio mondiale del 66% tra il 1929 e il 1934.
Dopo il 1945, gli Stati Uniti cambiarono rotta, diventando promotori del libero scambio con la creazione del GATT, poi evolutosi nell’OMC. Questa strategia favorì la crescita e la stabilità economica internazionale, ponendo le basi per la globalizzazione. Tuttavia, le tensioni commerciali non scomparvero. Negli anni ’60 la “Chicken War” segnò uno dei primi conflitti tariffari tra Stati Uniti ed Europa: Bruxelles aumentò le tariffe sul pollame statunitense e Washington rispose con dazi su camion leggeri, brandy e amido di patate. Una prima importante frizione, ma non sistemica.
Nei primi anni 2000 l’amministrazione Bush introdusse tariffe sull’acciaio importato, colpendo anche i produttori europei. L’Ue minacciò contromisure, portando infine alla revoca delle tariffe. Poi, nel 2018, con l’arrivo di Trump, alfiere del protezionismo, gli Stati Uniti rilanciarono un sistema di barriere economiche arrivando a imporre dazi fino al 25% sull’acciaio e al 10% sull’alluminio importati, giustificandole con motivi di sicurezza nazionale. L’Ue rispose con dazi su prodotti simbolo americani, come Bourbon, motociclette e jeans. La differenza tra il protezionismo del passato e quello attuale è evidente.
Mentre un tempo le tariffe servivano a sostenere l’industria americana in un mondo meno globalizzato, oggi esse vengono impiegate come strumenti di pressione geopolitica, con l’obiettivo di ridefinire gli equilibri economici globali e ottenere vantaggi. Il rischio di un’escalation commerciale, che potrebbe minare definitivamente il sistema internazionale per come lo conosciamo oggi, è altissimo. Una lezione della storia che dovremmo tenere sempre a mente è che le guerre commerciali non hanno mai avuto vincitori: sarebbe bene ricordarlo prima che sia troppo tardi.
© Riproduzione riservata