L’avvocato del popolo è ora nel cono d’ombra
Le lacrime amare di ‘Narciso’ Conte: bastonato sulla Rai, la disperazione dell’ex premier finito in disgrazia
Vi ricordate i bei tempi in cui, a reti unificate, si vedeva il fantasma del Conte che tra specchiere e ori, tendaggi e velluti avanzava e avanzava con passo fermo a favore di camera e poi – zàc- ti svoltava a sinistra e imboccava l’area degli schermi con le capitali, i Carolingi, i Merovingi, Napoleone e Federico di Prussia che pretendeva di essere il neonato di ogni battesimo e il morto di ogni funerale? Era lui. Lo avete riconosciuto. Poi si sedeva. E una voce austera e altera, ma fuori campo, dettava le condizioni del tempo, le mutazioni climatiche e le farmacie aperte. Lui restava televisivamente seduto, immobile ma connesso per via telepatica con i grandi della Terra, gli elefanti e i monti della gioventù. Tutti i giorni che Cristo ci aveva messo in Terra e lui, sempre uguale, si impegnava – fra tg compiacenti – a tentare di essere, riuscendo solo ad apparire. Ma tu pensa che vita, povero Conte, nel senso di Giuseppe. E ora gli hanno tolto la Rai, gli hanno tolto i telegiornali, gli hanno anche nascosto il telecomando.
Per forza che si sente fregato, come dargli torto? È tornato in quella dimensione che secondo Eugenio Scalfari consiste in un “cono d’ombra”. Quando sei nel cono d’ombra, gli altri cambiano marciapiede appena ti vedono o guardano fissi davanti a sé . E così ieri l’altro, appena saputo che Fuertes l’Onnipotente e il Drago in persona fuoco e fiamme, gli avevano tolto tutti i giocattoli televisivi, si è notoriamente infuriato, così come fa quando scopre che il partito che gli hanno affidato non esiste e non esistono nemmeno i voti che prima c’erano e dunque i seggi che avevano retto tante natiche stellate, ora non c’è più niente. È come quando finiscono gli amori fatti solo di autoerotismo.
Una stanca frustrazione, una zoppìa esistenziale come quando le nubi non formano più volti un tempo cari. Tutto era derivato da una fantasia del signor Grillo geom. Beppe, al quale peraltro il Conte sta sulle scatole perché fa ridere più di lui quando fa il numero dello scafandro, sia quel che sia.
E insomma: lui annuncia che farà l’Aventino perché pensa che si tratti di un luogo campestre, ma è stato male informato: fu nella sala degli arazzi con la storia della rivolta su quel colle, che i democratici antifascisti dopo l’omicidio del deputato Matteotti trucidato dagli squadristi Viola, Rossi e Dumin (di cui Mussolini assunse spavaldamente la responsabilità), si riunirono gridando “non andremo più in aula se la dovranno vedere con noi”. E il dittatore, cinico, tirò allora il catenaccio e per poi gettare nel pozzo le chiavi della democrazia. Ma il povero Conte tutto ciò ignora ed è comprensibilmente frustrato. Si sta profilando – e questo comincia a capirlo – un panoramino che non esclude la resa dei conti con una tornata elettorale un po’ anticipatina, per far fare ai grillini la fine dei Proci che bivaccavano nella casa di Ulisse.
E Conte non ha ancora capito che quel Zeus là, il Drago, non ce l’ha messo Mattarella, ma l’ha voluto questa Europa che ha fatto una scommessa: diamo una sistemata a questa stravagante Italia che destabilizza ma ci è cara, investiamoci un tot per riportarla a galla e gli spediamo il migliore dei nostri agenti che, oltre all’inglese e al tedesco, sembra che parli un discreto italiano e gli facciamo fare la partita degli Orazi e Curiazi che è come i Sette Samurai: li deve far fuori tutti uno dopo l’altro, ma sempre con un sorriso d’acciaio come uno dei giganteschi cattivi di James Bond e che sappia dire: “Gradisce un tè corretto?” come nel celebre film, e via. L’avvocato pugliese aveva abboccato a tutto: al movimento che lo nominava capo, alle folle plaudenti, ai clic, ai like, ai cuoricini. Tutto, i neuroni al vento.
E oggi, o meglio ieri, il derelitto inesistente ha avuto la sua legnata di giornata, che non consiste tanto nella perdita totale degli amici nella Rai, ma in una legnata esistenziale. E protesta solo perché non ha ancora capito. Pensava di essere Narciso, ma gli hanno tolto la pozza per specchiarsi, gli hanno levato le telecamere, i cavi, il microfono sul gilet, i dipendenti statali in livrea, le cozze del venerdì e il gelato della domenica. Gli hanno fatto il servizio che in Francia fecero al capitano Dreyfus ingiustamente condannato e che fu degradato davanti alla truppa quando gli spezzarono la sciabola, calpestarono gradi e spalline, che non fu una cosa carina benché poi fu riabilitato. Lui non corre questo rischio. Della riabilitazione. Il suo destino iconico (da cono d’ombra) è quello di certi personaggi della nomenklatura sovietica che cadevano in disgrazia e che – oltre ad essere soppressi con una revolverata alla nuca negli scantinati della Lubianka – venivano da tutte le foto, sostituiti da una pianta. Ma quale pianta mettere al posto del Conte se e quando verrà il momento? La domanda è inevasa, ma in testa alla graduatoria si dice ci sia il Ficus Pertusa, una pianta le cui grandi foglie consistono in un buco: nell’India da cui trae origine si chiama “albero del non essere”. Che già è tanto.
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