Le balle del governo
Le leggi sui migranti sono chiarissime, ma il ministro Piantedosi le ignora
Il neo ministro dell’Interno, prefetto Piantedosi viene presentato spesso come un “tecnico” ovvero come un alto funzionario che, pur avendo inequivocabilmente sposato un orientamento politico di una destra piuttosto estrema come quella dell’attuale governo e del partito a cui egli è tradizionalmente legato, la Lega Nord, rimane comunque un uomo delle istituzioni che ricerca soluzioni nell’alveo dell’ordinamento giuridico vigente.
Di tale patinata immagine si deve però dubitare alla luce di molte iniziative che lo vedono coinvolto, da ultima la richiesta o per l’esattezza la condizione da ultimo posta da lui medesimo al fine di consentire l’attracco in Italia alle navi delle organizzazioni umanitarie attualmente ferme in alto mare perché nessuno stato europeo interpellato, tra cui l’Italia, ha risposto alle richieste di assegnare un porto sicuro. La condizione è che le domande di asilo (definite dal diritto europeo domande di protezione internazionale) vengano manifestate al comandante della nave soccorritrice e da egli registrate e che lo stato di bandiera di tale nave diventi, per così dire, automaticamente, lo Stato competente ad esaminare quelle domande di protezione. Seguendo tale tesi allo sbarco in Italia seguirebbe quindi, d’ufficio, l’immediato trasferimento dei richiedenti asilo verso il Paese europeo coinvolto. Tutto ciò è previsto dal diritto vigente in materia di asilo nell’Unione Europea?
Il diritto dell’Unione Europea in materia di accesso alla procedura di asilo è disciplinato in primo luogo dalla Direttiva 2013/32/Ue, detta “direttiva procedure”; la direttiva non è una raccomandazione o una indicazione politica bensì è, come tutte le altre norme dell’Unione in materia, una fonte normativa sovraordinata che è stata obbligatoriamente recepita da tempo da parte di tutti gli Stati membri e che prevede che la procedura di richiesta asilo “si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri” (articolo 3 paragrafo 1 della Direttiva 2013/32/UE sulle procedure). Scopo della Direttiva è quindi quello di definire con precisione, senza lasciare alcun margine di ambiguità, le modalità, procedure e condizioni per la presentazione delle domande di asilo di un cittadino di un paese terzo rispetto a uno stato dell’Unione. La domanda di protezione internazionale è infatti “una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide” (art. 2 lettera b).
Le disposizioni della citata Direttiva si collegano strettamente all’individuazione dello Stato membro competente ad esaminare la domanda di protezione, materia che è definita in via esclusiva dal Regolamento (Ue) 604/2013, detto comunemente Regolamento Dublino III. Si tratta di un Regolamento la cui totale inefficienza è nota e che l’Unione Europea sta tentando di modificare da almeno cinque anni senza successo prevalentemente a causa dell’opposizione totale di molti Stati dell’Unione (riuniti nel cosiddetto gruppo di Visegrad ma non solo) che si oppongono a introdurre ogni principio di redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri sulla base di criteri oggettivi quali la popolazione e il reddito ed eventualmente altri parametri ulteriori. Chi si oppone a questa riforma sono gli Stati con un governo a orientamento politico che possiamo definire sovranista; tra i più famosi l’Ungheria e la Polonia ed altri, affini per ideologia al nuovo e assai problematico Governo italiano.
Sul punto della riforma del Regolamento Dublino ritornerò in conclusione; intanto ciò che è indubbio, e che fino a questa auspicata ma finora chimerica riforma il Regolamento rimane però quello vigente, anche se vetusto. All’art. 3 di detto Regolamento, in coordinamento con la Direttiva procedure si prevede che “ Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati” dal Regolamento stesso.
Nel diritto dell’Unione la competenza ad esaminare la domanda di asilo di un naufrago che manifesta tale volontà al comandante di un’imbarcazione privata (non fa alcuna differenza se si tratta di una organizzazione umanitaria o di una nave commerciale qualsiasi) non è in alcun modo individuata sulla base dello stato di bandiera della nave stessa e certo tale circostanza non fonda alcun nuovo criterio di competenza e tanto meno può essere posto come nuova fantasiosa condizione vincolante da alcun governo dell’Unione che, qualunque sia il suo orientamento politico, rimane sottoposto al rispetto delle leggi vigenti.
Ovviamente lo Stato italiano può chiedere allo stato di bandiera di qualsiasi nave di farsi carico delle domande di asilo delle persone soccorse, così come lo può fare verso qualsiasi altro Stato, coinvolto o meno in un’operazione di soccorso in quanto “ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento” (art. 17) In assenza della volontà di uno Stato di assumere una competenza non propria il Regolamento Dublino è ben chiaro su quale sia il Paese europeo competente ad esaminare la domanda di asilo del naufrago soccorso in mare ed è, salvo disposizioni specifiche di tutela per i minori non accompagnati e per i ricongiungimenti famigliari il Paese nel quale “il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro”. (art. 13 paragrafo 1). In parole semplici dove mette piede per la prima volta. Norma irragionevole ma vigente dove comanda la geografia delle vie di fuga e non la condivisione delle responsabilità e che non siamo ancora riusciti a cambiare in questa Europa di tutti contro tutti.
Cosa può dunque fare il Governo italiano oltre a rispettare la legge vigente? Può senza dubbio ricercare un accordo politico, come è già stato fatto dal governo precedente, per attuare tra alcuni Stati “volonterosi” una sorta di accordo di ripartizione della competenza delle domande di asilo che sarebbero di competenza di un altro Stato, nel caso specifico dell’Italia come paese dove è avvenuto lo sbarco. Si tratterebbe di una sperimentazione positiva che se ripetuta e progressivamente allargata aprirebbe la strada alla auspicabile riforma del vetusto Regolamento Dublino. La domanda è però se il Governo italiano vorrà seguire questo percorso concreto o non sarà interessato a farlo preferendo al suo posto il triste spettacolo di esibizioni muscolari con le quali si è presentato in Europa.
Soprattutto la domanda è se vorrà, magari anche nel nome di un evidente interesse nazionale, impegnarsi per una riforma del Regolamento Dublino che superi l’irragionevole criterio attuale che collega la competenza all’esame della domanda di asilo al primo paese in cui il richiedente mette piede o non farà nulla di tutto ciò perché percorrere questa strada per arrivare a una reale solidarietà ed equa distribuzione delle responsabilità in Europa lo metterebbe in totale rotta di collisione con gli altri governi sovranisti a cui si accompagna e che di solidarietà e nozioni simili non ne vogliono proprio sapere.
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