Il mio dissenso sulle posizioni della Le Pen è totale. Ciò non toglie che giudico la sentenza nei suoi confronti ingiusta e liberticida. Non c’è alcun corrispettivo fra la colpa (aver dirottato alcuni fondi europei verso funzionari del partito) e addirittura la condanna all’ineleggibilità per cinque anni, il che la esclude dalla possibilità di concorrere alla presidenza della Repubblica.

Qui emerge una questione generale perché il tema della corruzione è stato assai spesso usato per eliminare o distruggere gli avversari politici: il caso più recente riguarda il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, accusato di terrorismo e di corruzione da Erdogan. Su questo punto l’Italia è all’avanguardia. Nel passato, nel biennio 1992-94, nel nostro Paese l’inchiesta Mani pulite, nella sua unilateralità, è stata esemplare. In una situazione nella quale il finanziamento irregolare riguardava tutti i partiti, esso è stato surrettiziamente trasformato in corruzione (vedi il libro di Giuseppe Gargani “Le mani sulla storia”) e questo artificio è servito per colpire alcuni leader e forze politiche (in primo luogo Craxi e il Psi) e per salvarne altre (il nucleo dirigente del Pds).

L’unilateralità e la forzatura della sentenza sono indubbie

Per ciò che riguarda la Le Pen, l’unilateralità e la forzatura della sentenza sono indubbie anche se esse non possono essere messe in conto all’Unione europea e a Bruxelles come cerca di fare Salvini. Ma qui veniamo all’altro paradosso di questa vicenda: a protestare contro la sentenza c’è in prima fila Putin che, come è noto, gli oppositori o li fa uccidere o li mette in galera. A ruota protesta contro la sentenza Orbán che invece gli oppositori li mette in ceppi. Per altro verso però la solidarietà di Putin mette la Le Pen e il suo partito in una posizione difficile e imbarazzante perché la colloca nel quadro di forze sovraniste strettamente collegate alla Russia che rappresentano il polo estremo e radicale della dialettica politica europea.

La posizione difficile e imbarazzante

Come è messo in evidenza dall’articolo di Antonio Picasso, il Rassemblement National oggi si trova dinanzi a un bivio: o ribadire la sua collocazione tradizionale oppure articolare diversamente la sua linea rispetto al mondo dei conservatori. È quello che ha fatto nel passato Giorgia Meloni sul tema decisivo dell’Ucraina. A sua volta, a questo proposito, anche la Meloni oggi si trova di fronte a un bivio, sia sulla questione dell’Ucraina sia su quella dei dazi, ovvero schiacciarsi su una posizione subalterna a Trump oppure trattare con lui insieme al resto dell’Europa e in stretta solidarietà con la von der Leyen. Come si vede siamo in una fase cruciale nella quale le scelte sul terreno internazionale e quelle sul terreno interno sono strettamente legate. E per ciò che riguarda l’Italia c’è un ulteriore paradosso: sia il centrodestra sia l’opposizione sono segnati da contraddizioni molto profonde proprio sul decisivo tema della collocazione internazionale.