L’affaire X-Twitter tiene banco a Bruxelles, dopo l’annuncio dell’altro ieri del Commissario al mercato interno, Thierry Breton, di aprire una procedura formale di infrazione contro il social media di proprietà di Elon Musk per svariate violazioni del DSA, il Digital Service Act approvato dall’UE e recentemente entrato in vigore. La sua risposta di ieri suona un po’ come un disco rotto. “Gli altri social media sono decisamente peggiori”, ha twittato il miliardario statunitense, per poi condividere un articolo complottista che parla di un’Europa “sull’orlo della censura segreta di massa”. Insomma, l’arma di Musk per difendersi è il “free speach”, la libertà di parola, ed il fatto che su X questa diventi la libertà di dire qualunque cosa, diffondendo disinformazione, odio e minacce poco importa.

A corroborare questa tesi sono arrivate due notizie, una dall’Irlanda e una dagli Stati Uniti. La prima viene da The Business Post, un autorevole quotidiano finanziario irlandese, che è venuto in possesso di manuali di formazione per i moderatori dei contenuti del nuovo X-Twitter, spesso appaltati in Irlanda. In base alle nuove regole messe in atto negli ultimi sei mesi, non verrebbero più rimossi dalla piattaforma i post che negano eventi come l’Olocausto, quelli che insultano specificamente le minoranze o che ad esempio molestano qualcuno inviando una foto di Adolf Hitler che fa il saluto nazista. I post che fanno riferimento a omicidi di massa o a eventi violenti, o che incitano alla paura nei confronti di una categoria specifica – sulla base della razza, dell’etnia, dell’orientamento sessuale o del genere – non sarebbero più rimossi e oggi verrebbero etichettati come in violazione delle politiche di X, senza grandi conseguenze neppure per l’account che li ha pubblicati, diversamente da come accadeva in precedenza.

Al personale sarebbe stato detto di non sospendere gli utenti che pubblicano determinati post in cui si augurano danni fisici a un gruppo identificabile di persone, quelli che “auspicano, sperano, incitano o invocano danni fisici, la morte o la malattia di un individuo”, così come quelli che fanno riferimento “a omicidi di massa o eventi violenti in cui le categorie protette sono le prime vittime”. Infine, i moderatori che lavorano in appalto da X non sarebbero più autorizzati a prendere provvedimenti contro gli utenti i cui account sono “dediti a comportamenti abusivi” o a “contenuti sessuali non corrisposti”, ma devono ora “passare la questione” a un team interno di X. “Gli unici account abusivi per i quali prendiamo provvedimenti sono quelli legati al terrorismo o al materiale pedopornografico”, ha dichiarato a Business Insider uno dei moderatori, che ha pure mostrato come, ad esempio, un tweet con la frase rivolta agli ebrei – “la prossima tappa del nostro tour in Polonia è Auschwitz” – secondo le nuove regole al massimo sarebbe penalizzato dall’algoritmo, ma non sarebbe cancellato né sospeso l’account che lo ha pubblicato. Interpellata da Business Insider, X-Twitter ha preferito non fare dichiarazioni.

La seconda tegola su X-Twitter riguarda l’altra faccia della medaglia, ovvero le conseguenze di questi cambiamenti sulla moderazione che sarebbero state introdotte negli ultimi 6 mesi. Il CCDH (centro per il contrasto dell’odio online), una ONG britannica, ha raccolto circa 200 post pubblicati dopo l’attacco di Hamas e la risposta israeliana e li ha segnalati a X-Twitter perché promuovevano antisemitismo, islamofobia, odio anti-palestinese o altri discorsi di incitamento all’odio: il 98% di questi post non sarebbe stato rimosso, nonostante la segnalazione, dopo aver raccolto oltre 24 milioni di visualizzazioni sulla piattaforma. È in questa cornice che va letta l’iniziativa molto forte della Commissione europea. Per le conseguenze pratiche ci sarà da aspettare, ma è evidente che l’appello di Musk al “free speech” così come la sua contiguità con l’estrema destra europea e la sua stessa partecipazione sabato ad Atreju, vanno letti come un suo tentativo di fare la parte del martire e trovare una sponda politica a Bruxelles che lo protegga. Insomma, ne vedremo delle belle.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva