Le prigioni scoppiano, ma la metà dei reclusi è in attesa di giudizio…

Ad affollare le celle di Poggioreale e delle altre quattordici carceri campane, inclusi gli istituti penitenziari femminili e quelli per minorenni, ci sono tanti detenuti in attesa di un primo giudizio o di una sentenza definitiva. Corrispondono a circa il 42% della popolazione carceraria presente sul territorio regionale, e se si considera che la media nazionale è del 34,5% e quella europea del 22,4% si capisce che il dato è tutt’altro che trascurabile. L’ultimo report del Ministero della Giustizia rilevava, nel 2019, la tendenza a un ricorso più ampio alla misura cautelare rispetto all’anno precedente, con un aumento delle misure in carcere (2.212 a fronte delle 4.316 complessivamente applicate in un anno) e con un lieve calo di quelle agli arresti domiciliari.

Cosa vuol dire? Che in carcere si sono tanti detenuti sottoposti a carcerazione preventiva. Troppi, non solo per i garantisti ma anche per il Consiglio d’Europa che ha più volte bacchettato l’Italia per l’eccessivo numero di reclusi in attesa di giudizio e per le carceri tra le più sovraffollate del continente. La cronaca e le statistiche segnalano eccessi e criticità, mentre all’interno delle mura carcerarie si continuano a consumare piccoli e grandi drammi. L’ultimo ieri mattina. Se non si è contata una nuova vittima è perché un agente della penitenziaria si è accorto in tempo del gesto estremo di un detenuto e con i colleghi è riuscito a intervenire prima che si verificasse l’irreparabile.

«Ancora qualche attimo e l’insano gesto avrebbe avuto conseguenze drammatiche», ha spiegato Emilio Fattorello, segretario nazionale della Campania del Sindacato autonomo della polizia penitenziaria, sottolineando l’impegno degli agenti. Napoletano, 55 anni, Ugo (il nome è di fantasia) era nella camera di sicurezza del Tribunale di Napoli Nord, ad Aversa, attendendo il turno dell’udienza del processo in cui è imputato per maltrattamenti in famiglia. Ieri mattina, come altre mattine, si era svegliato presto, gli agenti lo avevano prelevato dalla sua cella nel carcere di Poggioreale e lo avevano scortato fino al blindato. Chissà a cosa pensava mentre percorreva con lo stesso passo i lunghi corridoi del carcere. Chissà a cosa ha pensato mentre, raggiunto il Tribunale, se ne stava seduto nella stanza dove gli imputati vivono le attese più lunghe, quelle delle udienze, quelle delle sentenze.

D’un tratto Ugo ha deciso di interrompere quell’attesa: voleva mettere fine anche alla sua vita. Ha sfilato i lacci dalle scarpe, li ha annodati uno con l’altro. Si è assicurato che fossero solidi come un’unica corda e l’ha stretta al collo, come un cappio. Voleva farla finita. Un agente della penitenziaria lo ha notato, ha gridato, è intervenuto. Assieme ai colleghi ha strappato Ugo dall’asfissia che lo avrebbe portato alla morte. Ugo è stato soccorso e portato all’ospedale civile di Aversa: ora non è più in pericolo. Resta la disperazione del gesto. Il suo tentativo di suicidio finirà nell’elenco dei cosiddetti “eventi critici”, quello che serve a fare valutazioni sulle carceri e su come si vive al loro interno, a stimolare dibattiti e a sollecitare ancora una volta interventi che la politica si mostra restia ad adottare. Storie e numeri sono importanti per tracciare la realtà. In Italia il popolo dei detenuti è composto da 53.579 persone, a fronte di una capienza regolamentare di poco meno di 50mila posti.

Gli stranieri sono 17.510 (il 32,68%), 102.604 sono i soggetti seguiti dagli uffici di esecuzione penale esterna, 1.348 i minorenni e giovani adulti presenti nei servizi residenziali e 13.279 quelli in carico ai servizi della giustizia minorile. Secondo dati aggiornati al 30 giugno scorso, nelle quindici carceri della Campania (con Poggioreale al primo posto come istituto di pena più grande e più affollato) si contano 6.428 detenuti: 6.130 uomini e 298 donne. Tra questi ci sono 3.764 condannati e sono 2.608 gli imputati, cioè le persone in cella per processi che si stanno celebrando o stanno per cominciare, detenuti, quindi, per i quali la carcerazione preventiva rischia di essere l’espiazione anticipata di una condanna che potrebbe non arrivare mai.