Breve storia delle carceri/1
Le prigioni sono nate con la modernità, ma oggi sono molto antiche

(PRIMA PUNTATA)
Il carcere è un’invenzione recente, all’opposto di quel che suggerisce il senso comune. Appena due secoli fa la privazione della libertà non si era ancora davvero affermata come strumento punitivo eminente, e in molti Paesi unico, diffuso ovunque, a ogni latitudine e longitudine. Per la detenzione il discorso è diverso: quella in una certa misura c’è davvero sempre stata ma con funzioni diverse da quella punitiva. La prigione era un “luogo di transito” nel quale il condannato aspettava l’espiazione della pena corporale o pecuniaria, oppure dell’esilio e della “galera” propriamente detta, cioè l’imbarco forzato con funzioni di rematore.
Essendo lo scopo della pena essenzialmente vendicativo ed essendo la stessa, a differenza che nell’antichità romana, decisa dal signore feudale, la spettacolarizzazione del supplizio, la messa in scena della punizione applicata con crudeltà teatrale sul corpo del condannato svolgevano una funzione essenziale. La prigione era tutt’al più necessaria, in coppia con la tortura, per estorcere una confessione considerata necessaria per la condanna. A metà del ‘500 l’avvio della Rivoluzione industriale innesca il lunghissimo processo di cambiamento che, nell’arco di tre secoli, porterà al dominio incontrastato dell’istituzione penitenziaria nell’amministrazione della giustizia.
L’immenso esercito di vagabondi, mendicanti, briganti e senza tetto, le cui file si andavano ingrossando in seguito alla trasformazione dei processi produttivi, diventa oggetto di una vera persecuzione che dall’Inghilterra si allarga all’intera Europa occidentale. Perché, dunque, non rendere produttiva questa massa indocile che andava scoraggiata dalle abitudini vagabonde, rieducata ma anche adoperata? Nasce così nel 1557, nel palazzo di Bridewell, gentilmente concesso dal sovrano inglese, la prima Workhouse, nella quale vengono concentrati e messi al lavoro vagabondi, poveri e ragazzi abbandonati. La workhouse è il primo esperimento che apre la strada al moderno modello carcerario e trova la più compiuta applicazione nell’Olanda del XVIII secolo, non a caso la nazione nella quale il capitalismo era allora più moderno e sviluppato.
L’evoluzione del sistema carcerario e quella del sistema capitalista industriale da un lato, della grande cultura illuminista borghese dall’altro, procedono con lo stesso passo. Si intrecciano, si potenziano vicendevolmente, rinviano di continuo l’una all’altra. Il modello delle workhouse è il convento, da cui riprende l’isolamento nelle celle e la parcellizzazione precisa e metodica dello spazio e del tempo. In Italia, infatti, la prima istituzione del genere nasce nel 1704 su ordine dello stesso pontefice Clemente XI, nella casa di correzione del San Michele di Roma. Ma il passo più gigantesco verso la nascita del carcere viene mosso all’altra parte dell’Atlantico, negli Usa, alla fine del XVIII secolo. La definizione del moderno sistema penitenziario si realizza qui attraverso il confronto e lo scontro tra modelli diversi. Il sistema della “vita in comune”, basato sulla convinzione che solo tenendo insieme tutti i detenuti, in modo da sorvegliarli tutti e castigarli appena necessario, si potesse davvero controllarli. Quello opposto, detto “di Philadelphia”, perché nato nel carcere di quella città, che implicava l’isolamento costante del detenuto, che doveva pregare e lavorare in solitudine dal momento che ogni contatto tra elementi pericolosi e devianti avrebbe portato a un potenziamento reciproco delle perniciose tendenze.
Il problema era qui l’alto numero di impazzimenti dovuti al totale isolamento, che portò allo sviluppo di un sistema alternativo in un certo senso a metà tra i due estremi, sperimentato nel carcere di Auburn, nei pressi di New York City. Il metodo “auburniano” prevedeva l’isolamento notturno, nei pasti e nelle ore di riposo mentre il lavoro era svolto in comune ma con il divieto di comunicare. Il primo istituto di pena costruito in Europa su modello americano fu quello inglese di Pentonville, nel 1842, e si avvicinava maggiormente al sistema “philadelphiano”. Ogni contatto tra detenuti era proibito, i pasti venivano distribuiti singolarmente, i detenuti dovevano indossare una maschera quando lasciavano le celle. In generale, però, in Europa i sistemi americani vennero intrecciati e diversamente coniugati a seconda dei singoli Paesi e delle specifiche carceri.
L’istituzione del carcere riflette la trasformazione di un’intera concezione della pena e della sua funzione, veicolata dalla rivoluzione borghese e dall’Illuminismo, che trova la sua compiuta espressione con il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, del 1764. Non si tratta più di esercitare la vendetta del signore o del sovrano ma di mettere il corpo sociale al riparo dall’aggressione del reo, dunque di punirlo ma anche di correggerlo in modo che non rappresenti più una minaccia. L’oggetto della punizione non è più il corpo del condannato, che anzi secondo la nuova morale borghese dovrebbe essere preservato e difeso, ma la sua anima, che deve essere trasformata e rieducata dalla pena stessa. Il Panopticon di Jeremy Bentham, del 1791, assolve a questa funzione: un modello architettonico (che lo stesso Bentham sperimenterà tre anni dopo concretamente nella sua fabbrica facendoci lavorare proprio carcerati) nel quale un solo sorvegliante doveva essere in grado di controllare tutte le celle e tutti i detenuti, senza però essere visto da loro.
Il compito di tenere sotto pressione, condizionare e rieducare non è più affidato al terrore dello scempio del corpo ma alla percezione di una sorveglianza permanente e non controllabile. Anche la visibilità della pena slitta. Non più esempio da ostentare per spaventare e avvertire, da mostrare per ammonire, ma sgradevole necessità da nascondere dietro mura spesse e quanto più invalicabili possibile. Con la prigione si afferma, nella teoria se non nella pratica, il principio della proporzionalità della pena al reato, che però già da subito si estende anche alla disponibilità del prigioniero a lasciarsi rieducare. Il comportamento in carcere diventa così misura che determina sia le condizioni della detenzione che la sua durata, in un percorso che viene coronato dalla legislazione premiale, dalla distribuzione oculata delle misure alternative.
A partire dal 1872, i giuristi iniziano a porsi il problema del diritto penale applicato alle prigioni. Nel 1890 viene istituita una Commissione penitenziaria internazionale che sarà seguita nel 1929 da una seconda Commissione internazionale penale e penitenziaria. Si occupano, entrambe, di definire un compiuto e codificato “diritto penitenziario”. Il modello che si costruisce sostanzialmente nel XIX secolo non verrà più modificato negli elementi costitutivi. Il problema della riforma delle carceri, che secondo Foucault nasce con l’istituzione stessa delle carceri, non riguarda, o non ha riguardato sinora, la natura o la finalità dell’istituto penitenziario ma solo la sua adesione a quel modello teorico essendo la realtà delle galere molto diversa, ancora oggi e tanto più nei due secoli scorsi, dalla teoria. Ma l’ipotesi di non adoperare più la privazione della libertà come misura della pena quella ha appena cominciato, molto timidamente, ad affacciarsi.
(CONTINUA)
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