Il saggio di Lisa Whiting e Rebecca Buxton
Le regine della filosofia, le donne che hanno fatto la storia del pensiero
«Immaginiamo cosa sarebbe successo se Shakespeare avesse avuto una sorella, poniamo chiamata Judith, meravigliosamente dotata. Shakespeare studiò – poiché sua madre era ricca – alla Grammar School; gli avranno insegnato il latino – Ovidio, Virgilio e Orazio – e qualche elemento di grammatica e di logica. Intanto sua sorella, così dotata, rimaneva probabilmente in casa. Lei non era meno avventurosa, piena d’immaginazione e desiderosa di conoscere il mondo di quanto non lo fosse suo fratello. Ma non aveva studiato. Non aveva potuto imparare la grammatica e la logica, per non dire leggere Orazio e Virgilio».
La forza di questo famoso brano di Virginia Woolf – tratto da Una stanza tutta per sé e pubblicato per la prima volta nel 1929 – rimane invariata se sostituiamo il nome del drammaturgo inglese con quello di uno qualunque tra i filosofi maschi che costituiscono l’ossatura dei manuali di storia del pensiero occidentale. La vita immaginaria della sorella del Bardo – dotata ma costretta a sposarsi giovanissima, relegata in casa a badare alla famiglia e ai bambini, esclusa dal privilegio di un’istruzione e dalle professioni “non appropriate” – potrebbe cucirsi addosso a quella delle tante potenziali filosofe che non abbiamo mai conosciuto e mai studiato. Come sarebbero andate le cose se la storia della filosofia non fosse stata monopolizzata dal punto di vista maschile? Dove saremmo oggi se il pensiero femminile avesse avuto la possibilità di far sentire la propria voce? Cosa sarebbe diventato l’ambiente accademico se anche le donne avessero potuto, come scrive Platone, «gettarsi indietro sulla destra il mantello, come si addice a persona libera»?
A queste domande risponde il libro Le regine della filosofia. Eredità di donne che hanno fatto la storia del pensiero di Lisa Whiting e Rebecca Buxton, pubblicato in Italia dalla casa editrice Tlon, con la prefazione di Maura Gancitano e le illustrazioni di Caterina Ferrante. Una controstoria del pensiero umano che include la voce di tante filosofe – appartenenti a tutte le epoche storiche e provenienti da tutte le parti del mondo – che, nella maggior parte dei casi, non trovano posto nei manuali ufficiali né il riconoscimento dovuto dentro e fuori l’Accademia. Le regine della filosofia colma una lacuna importante accendendo una luce sulla vita e sulle opere di venti filosofe raccontate e analizzate da altrettante filosofe e studiose. Prospettive alternative e spesso rivoluzionarie sul mondo, sulla società e sulla vita individuale che aspettano di essere riscoperte o conosciute per la prima volta. Il libro, però, è utile anche per ricordarci che la memoria storica è sempre connessa all’oblio: qualcosa viene ricordato mentre qualcos’altro viene dimenticato, qualcosa viene tramandato e qualcos’altro si inabissa per sempre. La memoria non è un meccanismo neutro e oggettivo: non tutto quello che merita di essere ricordato viene salvato e molto spesso la selezione non è dettata da motivi di merito, ma da pregiudizi e limitazioni storico-sociali.
La via dritta della memoria ufficiale ha escluso tante deviazioni, tanti percorsi alternativi, tante strade diverse: le “inclinazioni” che divergono dalla “rettitudine”, parafrasando il titolo del libro della filosofa Adriana Cavarero, si riprendono in queste pagine lo spazio che meritano. Non solo la filosofa-scienziata Ipazia, ma anche la grande intellettuale dell’antica Cina Ban Zhao. L’autrice del famosissimo Sui diritti delle donne Mary Wollstonecraft o la pensatrice del Kashmir del XIV secolo Lalla, ma anche Mary Anne Evans che si è firmata con lo pseudonimo maschile George Eliot. I nomi delle donne più note della filosofia occidentale come Edith Stein, Hannah Arendt e Simone De Beauvoir, ma anche la poco conosciuta, iniziatrice della filosofia yoruba, Sophie Bosede Oluwole. La femminista e attivista icona del Black Power Angela Davis, ma anche una delle più importanti filosofe islamiche viventi, Azizah Y. al-Hibri.
Filosofe che hanno visto e plasmato il mondo con parole e azioni, che oggi – tramite la voce di altre donne – pretendono un riconoscimento senza chiedere il permesso. Come Diotima – la sacerdotessa di Mantinea che nel Simposio platonico rivelava a Socrate la verità su Eros – abbandonano ogni timore reverenziale e affermano con determinazione “certo che ho ragione!” anche di fronte ai padri fondatori del pensiero maschile. In queste vite di filosofe raccontate da filosofe, di donne provenienti da mondi diversi ed epoche lontane raccontate da donne contemporanee risplende una forza comune. Una sorta di “filosofia della narrazione” di cui si è sempre nutrito sottotraccia il pensiero delle donne che, come Penelope, hanno intessuto trame per sopravvivere.
Le regine della filosofia è una costellazione rizomatica e plurale che non cerca di costruire un sapere definitorio e unitario che riguarda l’universalità, ma una filosofia complessa che mette insieme tante storie individuali diverse: la narrazione, come ci ricorda la Arendt, «rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo», le esperienze di vita «racchiudono in poche parole il pieno significato di ciò che abbiamo da dire». Rileggiamo l’invito con cui Virginia Woolf chiudeva la sua perorazione alle giovani studiose e aspiranti scrittrici: «È mia ferma convinzione – scriveva la Woolf – che la sorella di Shakespeare, che non scrisse mai una parola e fu seppellita nei pressi di un incrocio, è ancora viva. Perché i grandi poeti non muoiono; essi sono presenze che rimangono; hanno bisogno di un’opportunità per tornare in mezzo a noi in carne ed ossa. E offrirle questa opportunità, a me sembra, comincia a dipendere da voi».
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