Il Palamara-gate
Le rivelazioni di Fava: “Palamara era l’uomo di Pignatone al Csm”
Proprio mentre Cosimo Ferri si è dimesso dall’Anm che avrebbe dovuto giudicarlo nell’ambito dell’affaire intercettazioni, Luca Palamara fa ricorso contro l’espulsione dal parlamentino dei magistrati. E arrivano nuove importanti indiscrezioni. Palamara e Pignatone «per circa dieci anni sono stati in ottimi rapporti», riferisce l’ex pm della Procura di Roma, Stefano Rocco Fava, durante l’interrogatorio davanti ai colleghi di Perugia che indagano sull’ex presidente dell’Anm. La rottura del loro rapporto per Fava sarebbe avvenuta verso la fine del 2018, allorquando Palamara aveva cessato l’incarico di consigliere del Csm ed era tornato a piazzale Clodio come sostituto. Incarico che, nelle intenzioni del magistrato romano, sarebbe stato provvisorio dato che l’obiettivo era quello di diventare procuratore aggiunto. Fava precisa però che Palamara non gli ha mai indicato i motivi di questa rottura. Una rottura apparentemente inspiegabile alla luce di quello che Palamara era solito riferire a Fava. «In ambito Csm Palamara si rendeva promotore delle richieste di Pignatone per tutte le nomine», afferma Fava, riportando le confidenze del collega. «So che per circa dieci anni sono stati in ottimi rapporti, già quando lui era a Reggio Calabria», puntualizza ai pm di Perugia.
Palamara, va ricordato, era il presidente della Quinta commissione del Csm. La Commissione più importante di Piazza dei Marescialli, quella che si occupa degli incarichi direttivi. Nella scorsa consiliatura, complici alcune riforme legislative che hanno abbassato l’età pensionabile dei magistrati, il Csm ha proceduto a oltre mille nomine, un record assoluto da quando esiste l’organo di autogoverno della magistratura. Dalla lettura delle chat di Palamara è emerso che molte di queste nomine sono state in qualche modo “pilotate”. Fava ricorda anche che fu Palamara «a chiedermi di presentare la domanda per aggiunto», dal momento che «lui si poteva interessare». La proposta venne però respinta da Fava. E veniamo alle parti più rilevanti.
«Palamara non mi ha mai chiesto nulla e non mi ha sollecitato a presentare una denuncia nei confronti di Ielo (Paolo, procuratore aggiunto a Roma, per Palamara il responsabile delle proprie vicissitudini giudiziarie, ndr)», riferisce Fava ai pm umbri Gemma Miliani e Mario Formisano. E «non mi ha mai chiesto nulla di Centofanti (Fabrizio, indagato da Fava nell’ambito di un fascicolo di cui era assegnatario e soggetto cardine nell’indagine di Perugia contro Palamara, ndr)». «Centofanti – scrivono i magistrati umbri – da tempo operava come “lobbista”, aveva svolto attività di lobbying per conto di importanti gruppi imprenditoriali, nelle sedi politico/istituzionali. In tale ambito operativo aveva mirato ad accrescere la propria capacità di influenza intessendo una rete di relazioni con rappresentanti di varie istituzioni e con soggetti a loro volta portatori di interessi di importanti gruppi di pressione, alcuni dei quali avevano svolto tale ruolo in modo disinvolto e talora illecito».
L’attenzione dei pm di Perugia è proprio sul rapporto, iniziato nel 2008, fra Centofanti e Palamara. Una relazione «inquinata da interessi non confessabili». Nella tesi investigativa gli inquirenti contestano a Palamara l’articolo 318 codice penale nella formulazione introdotta dalla legge Severino del 2012, «corruzione per esercizio della funzione». Il reato svincola la punibilità dalla individuazione di uno specifico atto ricollegandola al generico «mercimonio della funzione». Insomma, Palamara quando era al Csm sarebbe stato a libro paga di Centofanti.
E qui torna ancora Pignatone. Scrive infatti Fava in una annotazione «che il 24 novembre 2016 il capitano Silvia Di Giamberardino, alla presenza dei marescialli Michele Iammarone e Cristian Amori, all’epoca in servizio presso il Nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza (delegati all’indagine nei confronti di Centofanti, ndr), mi ha comunicato che i rapporti fra lui (Centofanti) e Pignatone sono “molto stretti”, che sono sono stati visti molte volte a cena anche alla presenza del generale della guardia di finanza Minervini (Domenico, già comandante interregionale dell’Italia centrale, condannato nel 2017 per corruzione, ndr).
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