Ci vorrà del tempo per smaltire le scorie del passato Consiglio superiore della magistratura, guidato da David Ermini e da tutti descritto come il più screditato della storia della Repubblica. Il procedimento penale di Brescia, conclusosi questa settimana con la condanna di Piercamillo Davigo, che di quel Consiglio faceva parte, per aver diffuso i verbali di Piero Amara con lo scopo di screditare il collega Sebastiano Ardita, facendolo passare per massone, ha messo in evidenza anche il ruolo avuto in quella vicenda dal pm Giuseppe Cascini, toga di punta della sinistra giudiziaria romana, ultimamente in prima linea per attaccare la riforma della giustizia di Carlo Nordio.

Cascini ha svolto un ruolo preminente subito dopo l’esplosione del Palamaragate che portò all’inversione dei rapporti di forza tra le correnti all’interno del Csm. Il 5 giugno 2019, riferendosi proprio a Palamara, aveva tuonato parlando di nuova P2.

Le chat intercorse fra i due, invece, svelarono un quadro diverso, ad iniziare dalle manovre di Palamara per farlo nominare procuratore aggiunto di Roma e per agevolare il trasferimento nella Capitale del fratello Francesco. Senza dimenticare la richiesta di Cascini a Palamara di biglietti per fare posto al figlio, tifoso romanista, allo stadio Olimpico per una partita di Champions, circostanza oggetto anche di interrogazione parlamentare.

Il gip di Roma Nicolò Marino, lo scorso gennaio, nella sentenza che ha prosciolto Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm accusata di aver diffuso i verbali di Amara, aveva ordinato alla Procura di Roma di indagare Cascini, ipotizzando il reato di omessa denuncia. La Procura di Roma aveva messo nel mirino l’ultima ruota del carro, ingiustamente accusata di aver calunniato il procuratore di Milano attraverso la diffusione dei verbali di Amara. Di diverso avviso Marino che aveva puntando il dito verso i veri responsabili, prendendo spunto dalle testimonianze del processo di Brescia a carico di Davigo.

La storia della fantomatica “loggia Ungheria”, frutto della fervida fantasia dell’ex avvocato esterno dell’Eni Amara, ha determinato grossi grattacapi a Davigo, ma anche a Cascini. Quest’ultimo, sentito come testimone a Brescia a novembre 2022, aveva riferito che Davigo gli chiese lumi circa l’attendibilità di Amara, indagato dalla Procura di Roma e dallo stesso Cascini. Davigo, evidentemente, non aveva riposto la fiducia nella persona giusta, visto che Cascini non si dimostrò informato sulle roventi vicende giudiziarie di Amara a Roma. Ad esempio, affermando con sicumera che l’ex pm di Roma Stefano Fava rinunciò all’indagine sull’avvocato dell’Eni nei cui confronti aveva avanzato richieste cautelari, quando invece il fascicolo gli era stato sottratto dal procuratore Giuseppe Pignatone, il cui fratello aveva stretti rapporti con Amara. La deposizione di Cascini a Brescia costituì quindi per il gup un elemento sintomatico del ruolo ambiguo da egli svolto nel corso degli ultimi anni: oltre a parlare di ‘congiura di palazzo’, Marino parlò di “sdoppiamento di ruolo del dott. Cascini, componente del Csm e magistrato della Procura di Roma”.

Il Csm, però, nonostante ciò nei mesi scorsi ha deciso di farlo rientrare nella sede romana dove, come si usa dire, è “di casa”: a piazzale Clodio presta infatti servizio il fratello Francesco, nel frattempo promosso alla Dda, la ex moglie e l’attuale compagna. Cascini, che non si era astenuto nella nomina a procuratore aggiunto di Sergio Colaiocco, fattosi da parte in precedenza per agevolarlo, seguendo i suggerimenti di Palamara, per il medesimo incarico, era stato poi più volte ricusato dai suoi colleghi, comparsi innanzi alla Sezione disciplinare di cui faceva parte e che segnalavano il suo coinvolgimento nelle vicende portate all’attenzione del Csm. Ad indagare nei suoi confronti, come disposto dal gip, sarebbero dovuti essere i colleghi dell’ufficio dove ricopre ora l’importante funzione semidirettiva. Per evitare conflitti d’interesse è stato inevitabile cambiare “giudice naturale”, trasferendo il fascicolo a Perugia.