Potrebbe capitare tra 10 giorni, quando ci sarà l’inaugurazione dell’Anno giudiziario, e potremmo assistere a un mezzo striptease di magistrati con magliette sparate come pallottole contro la separazione tra le carriere di giudici e pubblici ministeri. Oppure ci toccherebbe vedere toghe in stile Quarto Stato marciare verso l’uscita per non incontrare, ohibò, il ministro della Giustizia.

Un po’ come facevano i seguaci del procuratore Saverio Borrelli e del suo “resistere, resistere” contro Berlusconi. Il cui fantasma ancora aleggia tra gli ossessionati del circo mediatico-giudiziario ma che resta un simbolo forte, nel cui nome finalmente le riforme si stanno attuando. Intanto il sindacato dei magistrati sta preparando proteste e protestine molto scenografiche ma non sappiamo quanto efficaci, nel momento in cui la loro reputazione non è certo alle stelle presso l’opinione pubblica. Hanno persino deciso di rivolgersi a esperti della comunicazione per valorizzare le proprie manifestazioni.

Consulta, fumata nera per nuovi 4 giudici

Nel frattempo pare che il gioco a incastro per mandare 4 nuovi giudici alla Corte Costituzionale sia in via di soluzione in Parlamento, e questo dovrebbe essere importante anche per il mondo dei magistrati. Ma gli occhi delle toghe non sono puntati lì. Si accendono solo quando viene sventolato il drappo rosso della separazione delle carriere, che dovrebbe tagliare con un colpo deciso di bisturi il corpo dei fratelli siamesi, giudici e pubblici ministeri. Dopo quel giorno, che potrebbe non essere lontano – nonostante la doppia lettura e il probabile referendum confermativo – i fratellini saranno divisi e ciascuno di loro avrà finalmente vita autonoma. Soprattutto il giudice e in particolare nella fase delle indagini preliminari, quella in cui il pubblico ministero è il vero dominus. Colui che ha la forza di schiacciare in un angolo il terzo incomodo del processo (l’avvocato difensore) ma soprattutto di tenere avvinto come l’edera, e di soffocarne la libertà di movimento, il giudice.

Le tre parole che fanno impazzire i pm

Se in Parlamento in queste ore i partiti di maggioranza e di opposizione stanno faticando per trovare l’accordo sui nomi dei tecnici del diritto da mandare alla Consulta, a causa delle differenze ideologiche delle diverse parti politiche, non è così per il mondo della magistratura. Le diverse correnti – pronte a sbranarsi per una nomina, una promozione o un trasferimento – sembrano inchiodate tra loro con la colla nel momento in cui ci si deve ribellare alle riforme. Non importa quali, perché le donne e gli uomini in toga sono in linea di principio conservatori. Per loro sarebbero sufficienti un po’ di personale in più e qualche semplificazione tecnologica che consenta di faticare di meno. Ci sono tre parole, separazione-delle-carriere, che li fanno impazzire. Quel che è normale in tutto il mondo occidentale, in Italia – secondo il 99,9 periodico per cento dei magistrati – deve rimanere diverso. Noi dobbiamo continuare a essere i diversi, e non si sa bene perché.

C’è una domanda a cui nessuna toga ha finora saputo o voluto rispondere. Tutti i paesi dell’Occidente in cui la separazione tra chi accusa e chi è chiamato a giudicare è un dato di fatto, e parliamo sia dei sistemi di common law che di quelli di civil law, sono o no democratici? Francia, Spagna, Portogallo, Germania, oltre a Regno Unito, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Australia, Canada e Giappone, sono forse regimi totalitari nei quali non esistono controllo di legalità né cultura della giurisdizione? Tra l’altro va tenuto presente che la riforma italiana, che sarà comunque epocale, non è neppure così rivoluzionaria. Infatti, come ha sottolineato il presidente del sindacato delle toghe Giuseppe Santalucia – cercando di usare l’argomento a proprio uso e consumo – i pm, pur venendo nominati in seguito a un concorso separato da quello dei giudici, continueranno a essere magistrati.

Avranno sempre la toga “giusta” da contrapporre a quella “sbagliata” dei difensori. Non saranno avvocati, come è nei sistemi anglosassoni. E continueranno a essere autonomi e indipendenti da qualunque altro potere, al contrario di quanto accade per esempio in Francia, dove dipendono direttamente dal ministro della Giustizia. Eppure in questi regimi “totalitari” come gli Stati Uniti e la Francia, guarda caso, si processano presidenti e ministri più che in Italia. Qual è, dunque, il problema per cui si minacciano scioperi e manifestazioni esemplari nelle prossime inaugurazioni dell’Anno giudiziario?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.