Il lavoro illegale è in parte opera di “padroncini” spregiudicati e delinquenti ma è, soprattutto, l’altra faccia dell’attuale modello economico italiano. Quando si ripetono episodi particolarmente gravi, come la recente morte di un “povero Cristo” a Latina, si alzano le voci di tutti ma poi si continua a far finta di niente. Per molto tempo, la causa principale del “lavoro nero” è stata considerata l’insostenibilità della pressione fiscale, A questa, però, se ne sono aggiunte altre più complesse ed anche più insidiose. L’apertura dei mercati ha compromesso la competitività di diverse produzioni nostrane. Dove le innovazioni tecnologiche o le riconversioni non sono riuscite a far recuperare il terreno perduto, molte attività sono scomparse o sopravvivono facendo ricorso alle varie forme di lavoro sommerso e illegale.

Il sistema formativo scolastico non riesce ad assicurare competenze e profili professionali adeguati, alimentando contemporaneamente frustanti aspettative individuali e scarsa disponibilità per lavori tradizionali e faticosi. Da qui, anche il divario tra domanda ed offerta di lavoro e la necessità di manodopera reperibile prevalentemente attraverso l’immigrazione, che è quasi sempre illegale. I bassi salari non stimolano la domanda interna facendo aumentare la richiesta di prodotti, non solo alimentari, a basso prezzo forniti dalle importazioni dai paesi asiatici, dal mercato del falso e da quello illegale. Le basse retribuzioni, inoltre, disincentivano la permanenza in Italia dei giovani più preparati. La concomitanza di queste cause e gli effetti del calo demografico stanno rendendo strutturali le disfunzioni della nostra economia con il rischio di un vero e proprio collasso, che solo in parte può mitigare l’afflusso di manodopera straniera. Le modalità, però, con cui l’Italia, indipendentemente da chi la governa, “gestisce” tale flusso hanno trasformato l’arrivo di moltissimi immigrati nella fornitura al mercato illegale del lavoro di un consistente numero di schiavi. Una situazione è nota a tutti, anche a noi consumatori, ma ci si accorge della loro presenza solo quando vagabondano per strade e piazze.

L’ipocrisia generale e il buonismo di turno non vogliono vedere che consistenti comparti produttivi, a cominciare da quelli agricolo ed edilizio, si reggono sulla schiavitù. Non è solo questione di controlli che poi tardano a punire i colpevoli e potranno solo evidenziare la presenza di migliaia di immigrati irregolari, ma di decidere come riorganizzare la nostra economia. Non è facile ma è indispensabile, malgrado i pesanti ritardi accumulati. Invece, per lo meno a sinistra, c’è solo la traccia di proposte marginali, come il salario minimo e l’abolizione del jobs act, per non parlare della nostalgia per il reddito di cittadinanza. Si tratta, in realtà, di risolvere strutturalmente i problemi esistenti dando un futuro al nostro paese.

Una condizione essenziale è l’individuazione di “obiettivi strategici condivisi” da tutto il sistema politico, indipendentemente da chi governa; una specie di patto “costituente” tra cittadini e Stato. Potrebbero essere, ad esempio, la strategia per la crescita demografica e la riforma del sistema di istruzione e formazione, definendo anche gli obiettivi intermedi e le risorse finanziarie. Forse è una prova di maturità istituzionale che il nostro ceto politico avrebbe difficoltà a superare, avendo confuso il “bipolarismo” come la necessità di fare sempre e solo cose diverse da parte dei due schieramenti finendo con lasciare l’Italia sempre allo stesso punto, mentre il mondo avanza e si rinnova. Sicuramente potrebbe essere l’occasione per i riformisti per dare un contributo originale e concreto all’evoluzione di un paese costretto a camminare con il “freno a mano”.

Antimo Manzo

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