34 anni. Attuale ministro degli Esteri. Già vicepremier. Già ministro del Lavoro, dello Sviluppo Economico e delle Politiche sociali. Già vicepresidente della Camera dei deputati. La carriera politica di Luigi Di Maio racchiusa nel libro “Leader per caso” di Pasquale Napolitano, giornalista de Il Giornale, pubblicato dalla casa editrice Controcorrente. Un ritratto inedito del leader che guida alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 il primo partito italiano. E’ il politico che nel giugno del 2018, con la nascita del governo Conte 1, dà inizio alla Terza Repubblica.

Una vita universitaria, prima a Ingegneria informatica poi a Giurisprudenza, ‘sacrificata’ per occuparsi a tempo pieno al Movimento 5 Stelle. Donne, barca a vela con tre bagni e cinque stanze, casa con vista Colosseo, poltrone per gli amici. Le inchieste che travolgono la famiglia Di Maio nel novembre 2018: i guai con il Fisco e le case abusive. E poi i legami con la Cina e la tentazione, nel luglio del 2020, di abbandonare il M5S, troppo schiacciato sulle posizioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di Beppe Grillo. Nel luglio di quest’anno Di Maio medita di dar vita a un nuovo gruppo parlamentare. Iniziano gli incontri bilaterali con Gianni Letta e Mario Draghi, due nomi considerati nemici dai puri e duri del Movimento. Il piano poi viene accantonato. Ma ne parte un altro: riprendere la guida del M5S. Di riappropriarsi della leadership mollata nel gennaio del 2020 dopo una serie di sconfitte e fallimenti politici.

Nel libro di 160 pagine di Napolitano, partenopeo come Di Maio, viene ritratto il volto più emblematico di questa parentesi (grillina) della politica italiana. Il volto più giovane della storia ogni volta che mette piede in una stanza delle istituzione. Il più veloce a sostenere un principio e poi cambiarlo. Le grandi campagne che hanno portato i Cinque Stelle in Parlamento e poi al governo sono tutte rimangiate e tutte ribaltate, come in un gioco di prestigio nel quale la carta che ti hanno mostrato dopo un attimo è sparita. Le alleanze, il numero dei mandati, e poi la Tav, l’Ilva. Ma Di Maio è un rivoluzionario moderato, un agitatore con l’animo andreottiano. Ed ora che ha assaporato il potere, lavora per conservarlo. A qualsiasi costo.

Come quando nel luglio 2020, mesi dopo il passo indietro da capo politico del Movimento, fantastica di costruire un nuovo gruppo parlamentare per staccarsi dal suo partito.

In un estratto a pagina 141 si legge: “La fase aperta con le sue dimissioni ha tanto l’aria di una riflessione che lui stesso ha voluto imporre al Movimento. Credete che io possa essere un problema? Bene, allora arrangiatevi per un po’ senza di me e vedrete in quale deriva vi troverete. In fondo, Di Maio si è avvalso proprio della fragilità che tutti sospettano da sempre, la fragilità che può inevitabilmente caratterizzare un agglomerato male organizzato come i 5 Stelle. Sapeva perfettamente che non sarebbero stati in grado di darsi una nuova governance, di piantare i propri paletti nel terreno per reggere alle burrasche che in politica sono così frequenti. Un partito irreggimentato non è affatto un partito organizzato. Grillo prima, Rousseau poi, hanno davvero gestito il gruppo a loro disposizione come una classe d’asilo. State in fila per due e tenetevi la mano. Ed è esattamente di questo nulla che Di Maio si è servito. Sia nei mesi precedenti alle dimissioni, così da estendere il controllo sul Movimento, sia all’indomani del 22 gennaio, quando inaugura la fase in cui il Movimento è orfano di Di Maio. La fase in cui i 5 Stelle faranno bene a comprendere in fretta che di un Di Maio capo supremo in realtà non possono fare a meno”.

 

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Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.