L'intervista
L’economista e storico Vissol: “Usa e Russia vogliono l’Europa solo per ricostruire l’Ucraina. Questo riarmo potrebbe non bastare”
“La Difesa comune è un importante passo verso la costruzione di un’Unione federale. Ma Meloni la vuole davvero?”

Thierry Vissol – già docente universitario e funzionario della Commissione europea, nonché direttore del Centro euro-mediterraneo Librexpression della Fondazione Giuseppe Di Vagno -, commenta il progetto europeo di difesa comune, mentre, nel Consiglio europeo, emergono divisioni sul debito Comune da dirottare sugli investimenti militari.
Le recenti azioni e dichiarazioni di Trump hanno messo in evidenza la fragilità dell’Ue, che sta iniziando a riflettere sull’opportunità di una difesa comune. Pensa che si concretizzerà?
«Fin dal primo governo Obama gli americani hanno chiaramente dimostrato che il loro interesse non era più l’Europa, ma la Cina e il Pacifico, obiettivo brutalmente ricordato da Trump I. In questo caso i francesi hanno suonato – invano – il campanello d’allarme, con le dichiarazioni del presidente Macron in un’intervista al settimanale The Economist, nel 2019, nel quale ha considerato “la morte cerebrale della NATO”, ha deplorato la mancanza di coordinamento strategico tra gli Stati Uniti e l’Europa e ha raccomandato di “rafforzare” l’Europa della difesa. Il conflitto in Ucraina, pur dimostrando le debolezze dell’UE, ha in qualche modo e paradossalmente rafforzato la sua dipendenza dagli Stati Uniti, sia per quanto riguarda gli armamenti che per la logistica legata allo spostamento delle truppe, all’intelligence e alla guida satellitare. Il secondo shock di Trump II potrebbe aver risvegliato i sonnambuli europei dal loro sonno dogmatico. Tuttavia, non è sufficiente prevedere 800 miliardi di euro in 5 anni (il piano “Rearm Europe” lanciato dalla Commissione e approvato dal Consiglio) per risolvere i problemi lasciati in sospeso per così tanto tempo».
Cosa intende dire?
«La Francia e la Gran Bretagna dispongono certamente di una forza nucleare, ma solo di 400 testate contro le 1.700 schierate in Russia; inoltre, mentre i francesi possono utilizzare aerei e sottomarini per il lancio, i britannici hanno solo i sottomarini il che impedisce eventuali colpi di avvertimento che rischiano di provocare la distruzione dell’imbarcazione, perché in tal caso verrebbe immediatamente individuata. Il secondo è la dipendenza dalla buona volontà di cooperazione degli americani per l’uso di alcune armi come i missili da crociera inglesi Storm Shadow, che richiedono dati geospaziali americani per acquisire i loro bersagli, o i caccia furtivi F35, il cui pilotaggio si basa sulla fusione di numerosi dati tattici ospitati negli Stati Uniti in centri specifici, nonché la loro manutenzione in parte legata a software automatizzati».
Il diritto di veto e il ricorso a decisioni unanimi producono, da parte di alcuni Paesi, avvisaglie di ricatto: ciò costituisce un freno alle riforme?
«Il diritto di veto è un problema di governance fondamentale da quando è stato introdotto con la politica del seggio vuoto. Da allora il diritto di veto ha continuato a essere un ostacolo alle decisioni importanti e ha portato a politiche minimaliste, per non creare problemi politici a nessuno. Tuttavia, persiste in tutti i settori cosiddetti “sovrani” in cui l’Unione non ha competenze esclusive o competenze condivise. Pertanto, quando Polonia e Ungheria erano in fase politica, è stato impossibile attivare misure contro le violazioni dello stato di diritto dell’una o dell’altra, perché tali misure potevano essere prese solo contro un Paese alla volta e richiedevano l’unanimità degli altri Paesi. Mi sembra ovvio che una politica comune di difesa sarebbe un passo fondamentale verso un’Europa federale che la presidente del Consiglio Meloni ha ritenuto non essere l’Europa che desiderava e, purtroppo, non è l’unico capo di governo a pensarla così».
Volodymyr Zelensky, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina, ha chiesto l’adesione all’Unione europea, per poi rivolgersi alla NATO. Pensa che queste porte rimarranno chiuse?
«Le porte della NATO rimarranno chiuse, almeno finché Trump sarà presidente e finché gli Stati Uniti ne rimarranno membri. Per quanto riguarda l’adesione all’Unione europea, sembra esserci un consenso tra gli Stati membri, tanto più che i russi non sono contrari, almeno finché nessun militare europeo sarà di stanza in Ucraina e finché non ci sarà un’Unione europea della difesa. La Turchia, membro della NATO, che ha lo status di associazione dal 1963 (accordi di Ankara) e che aveva presentato la sua candidatura nell’aprile 1987, è stata riconosciuta come candidata solo nel 1999. I negoziati sono iniziati nel 2005, sono stati bloccati nel 2007 da Francia e Germania, poi ufficialmente nel 2009, e non solo a causa dell’inasprimento e poi delle politiche repressive di Recep Tayyip Erdoğan».
I negoziati avviati tra Putin e Trump sembrano aver relegato l’Unione europea in una posizione marginale. Pensa che l’UE sarà in grado di ritrovare il suo ruolo centrale nei processi di negoziazione?
«Gli attuali negoziati tra Trump e Putin per un cessate il fuoco temporaneo sembrano svolgersi senza che gli europei siano coinvolti. L’Ucraina non ha, come Trump ha fatto notare bruscamente a Zelensky, “le carte in mano” per imporre qualcosa. Non potrà resistere all’esercito russo, per quanto coraggiosi siano i suoi soldati, senza l’aiuto militare e dell’intelligence americana che l’Ue non è in grado di sostituire. Né i russi né gli americani vogliono che gli europei si intromettano, se non per finanziare la ricostruzione del paese. Trump, che ha fatto della pace in Ucraina un argomento di campagna elettorale e ritiene di essere l’unico in grado di realizzarla, non ha alcuna intenzione di condividere il successo con nessuno».
Con la vittoria di Friedrich Merz in Germania, pensa che si possa ricostituire un asse franco-tedesco in grado di garantire stabilità ed equilibrio in Europa?
«Francia e Germania rimangono i due paesi più importanti dell’Ue, l’uno per le sue capacità militari e strategiche, l’altro per la sua potenza economica reale e potenziale. Questo sarebbe l’unico modo per evitare che i Paesi europei che aderiranno a questo progetto si ritrovino intrappolati tra il martello russo-cinese e l’incudine americana».
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