Ci sono due approcci alla legge di bilancio. Il primo lo potremo chiamare “sovranismo finanziario”. Il governo si impegna ad intervenire in modo strutturale sulla spesa pubblica con un orizzonte di tempo pluriennale per poter realizzare i propri obiettivi economici, sociali e politici indipendentemente dalle condizioni esterne. Cosi fecero i governi Renzi e Gentiloni. Il contesto internazionale non particolarmente favorevole e gli stringenti vincoli del patto di stabilità europeo non hanno impedito a realizzare una riduzione di tasse di 2% del PIL sostenuta con una revisione della spesa di pari entità.
Il secondo approccio è “seguire la ruota della fortuna”. Il governo si limita a giocare con le carte che riceve dell’esterno. Se è fortunato e ha il vento in poppa elargisce molto. Se è sfortunato distribuisce poco. Questo sembra essere la strada scelta dal governo Meloni. Il 2022/23 è stato un biennio miracoloso per la finanza pubblica. L’alta inflazione ha alzato le entrate fiscali e svalutato il debito. I folli bonus edilizi hanno spinto in alto il PIL senza creare nell’immediato un debito aggiuntivo. Le tranche del PNNR, ad oggi 50 miliardi superiori alla spesa effettivamente sostenuta, hanno funzionato come un bancomat che riduce le necessita di finanziamento esterno.

Ma nell’economia i pranzi gratis non ci sono. I conti prima o poi vanno pagati. Dal 2024 la ruota della fortuna inizierà a girare nel verso opposto. Il costo del debito pubblico in forte salita, i debiti indotti dai bonus edilizi, e la fine del bancomat PNNR peseranno sul bilancio pubblico. Infatti, la NADEF appena rilasciato prevede che con 20 miliardi di privatizzazioni, francamente improbabili, il debito pubblico in rapporto al PIL si stabilizzerà nei prossimi 3 anni attorno al 140% del PIL. Nel 2011 era appena sotto il 120% del PIL. Peggio ancora. La stessa NADEF contiene una bomba ad orologeria. Un dato per tutti. Le prestazioni sociali (pensioni e altri assegni sociali) e gli interessi sul debito, spese “obbligate” e poco produttive, ammontavano nel terribile 2011 il 24,2% del PIL. Nel 2018 sono scese al 23,5%. Nel 2026 sono previste di raggiungere il 25,2%.

Per poter prospettare che in queste condizioni il debito pubblico in rapporto al PIL si stabilizzi e non salga (uno scenario comunque non rassicurante), il governo è costretto quindi a prevedere una forte compressione delle altre spese, ovvero quelle dei servizi essenziali, la sanità, la scuola, i servizi locali le forze dell’ordine. Nel 2022 ammontavano a 354 miliardi. Sono ipotizzate di raggiungere nel 2026 361 miliardi. Con un’inflazione cumulata prevista in questo periodo di oltre il 18%, la spesa nominale sale del 2%. Significa una riduzione reale di quasi il 14%! I numeri semplicemente non tornano. Senza un drastico cambio di rotta, il debito italiano, 20% più alto che nel 2011, ricomincerà a salire cosi come le tensioni sociali senza precedenti. Tra tutti i sovranismi evocati dal governo, l’unico che serve, quello finanziario, non è neanche sull’ordine del giorno. Occorre avviarlo, senza indugi. Prima che sia troppo tardi.

Mister Ragioniere

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