Legge di Bilancio: una doccia fredda per Giorgia Meloni. Non c’è un Euro bucato

E adesso basta con i pamphlet militari, le dichiarazioni infelici di qualche ministro – ad esempio su caro benzina e caro prezzi – le fughe in avanti dei vicepremier Salvini e Tajani. Basta anche con i social, i granchi blu e l’assedio alla masseria di Ceglie Messiapica. Giorgia Meloni archivia le vacanze, saluta il portavoce Sechi, rafforza i poteri di comunicazione del sottosegretario Fazzolari e rimette la testa sui tanti dossier aperti. Ha due missioni internazionali molto importanti a settembre – il G20 in India e le Nazioni Unite – e tra la fine di settembre e i primi di ottobre deve portare la Nota di aggiornamento in Parlamento (Nadef, per la cui approvazione serve la maggioranza assoluta) e consegnare la legge di bilancio (entro il 10 ottobre).

La Premier riapre il Palazzo e l’ufficio dopo 21 giorni di riposo (ultimo Cdm il 7 agosto il tavolo sul salario minimo fu una parentesi di qualche ora) e si ritrova alcune sfide che non aveva preventivato. O, almeno non di questa gravità: mancano almeno venti miliardi per scrivere la legge di bilancio e non si ha idea dove il governo possa andare a prenderli. Ci sono solo due possibilità: aumentare la tassazione, diminuire la spesa. Tertium non datur: nel senso che non è possibile fare ulteriore debito. Anzi, va diminuito.

Ecco che giù lunedì c’è l’ipotesi di un Consiglio dei Ministri che dovrebbe avere all’ordine del giorno i temi economici: manovra, caro vita, le nuove regole europee del Patto di stabilità. Il tutto sapendo che le forze di maggioranza sono già in campagna elettorale per le Europee del giugno prossimo; che il tema delle alleanze in Europa è tuttora in alto mare; che i vice premier Tajani e Salvini stanno lottando per il secondo posto nella coalizione; che a destra si stanno organizzando i delusi della Meloni liberal-conservatrice lontana anni luce da quella identitaria e nazionalista di quando era leader dell’opposizione.

Proprio per questo, il lunedì successivo (4 settembre) la premier ha convocato a Palazzo Chigi i capigruppo della maggioranza per parlare chiaro a ciascuno di loro: non ci saranno soldi, non ne chiedete, dite ai territori – cui comunque dovranno arrivare i fondi del Pnrr – di portare pazienza. Parlarsi chiaro e dirsi tutto adesso per evitare brutte sorprese in corso d’opera.

Il problema è che quella ’23-’24 è la prima vera legge di bilancio del Governo Meloni. E se lo scorso anno la Premier ha potuto dire di essere appena arrivata e di aver in sostanza dovuto confermare decisioni già prese dal governo Draghi, quest’anno non avrà più alibi. Anche perché a parte la guerra in Ucraina, non ci sono stati negli ultimi dodici mesi ulteriori fattori destabilizzanti. Dunque, se le casse piangono la responsabilità può essere solo del governo e delle scelte fatte.

I paletti dell’azione di governo sono stati segnati dal ministro Giorgetti e dalla Premier Meloni in questi giorni. “La legge di bilancio è una matassa complessa perché ci sono poche risorse” è la doccia gelata, ma attesa, che il ministro economico ha rovesciato su alleati e opposizioni lunedì scorso dal palco di Cl a Rimini. “La nostra priorità restano le famiglie, quelle con i redditi sotto i 35 mila euro afflitte più degli altri dall’inflazione, il lavoro e le imprese che quel lavoro devono creare”.

Il punto è che solo per fare questo servono una ventina di miliardi che non ci sono. Almeno 10-11 sono necessari per confermare il taglio del cuneo fiscale come è già in essere adesso. Il governo però vuole andare oltre e pensa ad un ulteriore investimento di 4-5 miliardi. Sulla carta buona parte di questi danari dovevano arrivare dall’una tantum sull’extragettito delle banche.

Tanto clamore per nulla, però. Oltre ad avere creato una frattura nella maggioranza (con Forza Italia, contraria) e aver indispettito il ministro Giorgetti (che intendeva procedere in modo diverso), la mossa ad effetto non sortirà i risultati immaginati ma, a forza di distinguo per tranquillizzare i mercati, solo un paio di miliardi. Non solo: la tassa sull’extragettito delle banche è tecnicamente un prestito forzoso simile a quelli che faceva il regime fascista. Non solo: le banche già sanno che recupereranno il prelievo subito come crediti d’imposta. È una delle ultime evoluzioni del disegno di legge sull’ extragettito banche.

Servono, con urgenza, quattro miliardi alla Sanità: il servizio pubblico è al collasso e la spesa di oltre 40 miliardi ogni anno per curarsi in privato grida vendetta. Altri 3-4 miliardi sono necessari per aggiornare i contratti del pubblico impiego – sono tanti – scaduti da anni. Anche questo è un modo per combattere il caro vita e la tassa dell’inflazione. Cinque-sei miliardi sono blindati per la guerra in Ucraina. Almeno un miliardo va destinato per finanziarie le pensioni a Quota 103 che certo non è quello che aveva promesso Salvini.

La somma di queste misure ruba circa trenta miliardi. Se si conferma una crescita intorno all’uno per cento, il governo può trovare in cassa 7-8 miliardi. Tutto il resto deve essere trovato. E, come si diceva, ci sono solo due modi: aumentare le tasse e tagliare la spesa. Il governo avrebbe potuto fare cassa, ad esempio, aumentando i canoni delle concessioni balneari e degli ambulanti e mettendo sul mercato più licenze dei taxi. Tesoretti preziosi sarebbero potuti arrivare grazie ad una buona, soprattutto vera, legge sulla concorrenza. Ma su questo fronte nell’ultimo anno non si è mosso un dito. Le lobby comandano. Nonostante le banche.

Sui tagli da fare e su dove reperire le risorse necessarie Giorgia Meloni dovrà guardare in faccia i suoi alleati. Soprattutto Tajani e Salvini. E spiegare che non c’è spazio per fare ulteriore debito. Giorgetti spera sulla flessibilità di Bruxelles nel momento in cui le regole del Patto di stabilità tornano in vigore (a fine anno) dopo la sospensione causa Covid ma non saranno ancora pronte le nuove regole in vigore dal 2025. Il prossimo sarà un anno di passaggio. Con le vecchie regole? O è possibile immaginare qualche modifica? Giorgetti, ad esempio, chiede di non contare nel debito le spese per ambiente e difesa. Bruxelles fa sapere di non cedere rispetto al vecchio 3%.