L'ex pm interrogato
Leggi ad hoc dalla politica, la deposizione di Palamara fa tremare il CSM

Prima pm, poi giudice, quindi imputato, ed infine testimone. Luca Palamara si appresta a chiudere il cerchio, ricoprendo i ruoli di tutti gli attori del processo. Al momento manca solo quello del difensore, funzione possibile in quanto i magistrati acquisiscono lo status di avvocato di “default”, senza bisogno di sostenere l’esame di abilitazione. Il primo giorno nell’inedita veste di testimone l’ex presidente dell’Anm e per anni indiscusso zar delle nomine lo ha trascorso alla Procura generale della Cassazione.
Ieri pomeriggio è stato interrogato come persona informata dei fatti dal sostituto procuratore generale della Cassazione Simone Perrelli. La Procura generale sta svolgendo accertamenti a proposito del procedimento disciplinare aperto nei confronti degli ex togati di Palazzo dei Marescialli Massimo Forciniti e Claudio Maria Galoppi, il primo pm a Crotone, il secondo consigliere della presidente del Senato Maria Alberti Casellati.
I due magistrati sono accusati di aver sollecitato un emendamento alla legge di stabilità del 2017. A farsene promotore era stato l’onorevole Paolo Tancredi di Area popolare, il partito di centro di ispirazione cristiana, scomparso al termine della scorsa legislatura. «Nell’occasione – si legge nel capo d’incolpazione firmato dal pg Giovanni Salvi – dopo aver ispirato e messo a punto il testo dell’emendamento, Forciniti, Galoppi e Palamara, avviavano varie interlocuzioni con parlamentari (…) la norma da modificare impediva loro di essere nominati ad un ufficio direttivo prima del decorso di un anno dalla cessazione dalla carica di consigliere Csm».
La norma prevedeva inizialmente che dovessero trascorrere due anni, poi uno, dal giorno in cui il consigliere cessava di far parte del Consiglio superiore della magistratura per poter «essere nominato ad un ufficio direttivo o semidirettivo diverso da quello eventualmente ricoperto prima dell’elezione o nuovamente collocato fuori del ruolo organico per lo svolgimento di funzioni diverse da quelle giustizia».
La disposizione era stata voluta dall’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli (Lega) nel 2002 durante il penultimo governo Berlusconi per impedire che i consiglieri uscenti passassero subito all’incasso concorrendo per un posto da procuratore o presidente di Tribunale. Per ottenere il risultato era sufficiente per i consiglieri che stavano terminando il mandato non coprire la vacanza del posto direttivo a cui aspiravano e attendere serenamente di esservi nominati da parte dei consiglieri entranti. Il ruolo delle correnti in questa partita era fondamentale. Un accordo non scritto prevedeva che gli entranti si “sdebitassero” con chi aveva permesso, girandogli i voti necessari, l’elezione al Csm.
Terminata la consiliatura nel 2018, quasi tutti i consiglieri uscenti avevano fatto domanda per un posto direttivo. Su sedici, tranne quelli che tornarono nel posto direttivo ricoperto prima di entrare a far parte del Csm, solo in due non presentarono domanda. La prima ad avvalersi di tale emendamento era stata Maria Rosaria Sangiorgio, di Unicost, come Palamara, nominata presidente di sezione in Cassazione. L’interrogatorio di Palamara è durato oltre un’ora. L’ex presidente dell’Anm avrebbe affermato che era “prassi” accettata da tutti effettuare attività di lobbying da parte dei magistrati con i politici. Quindi non ci sarebbe stata nessuna anomalia. La Procura generale, però, starebbe indagando in modo approfondito. Oltre ad aver messo in campo una task force per analizzare le chat di Palamara, starebbe ascoltando molti dei protagonisti dell’epoca.
Fra le varie testimonianze ci sarebbe stata in queste settimane quella dell’allora ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd). Il Guardasigilli era al corrente delle trame dei consiglieri del Csm? La disposizione, infatti, era osteggiata dal ministero della Giustizia e dai vertici dell’Anm. «La modifica normativa, che interviene in materia di ordinamento giudiziario non è mai è stato oggetto di interlocuzione formale o informale con il governo o con il Parlamento», fecero sapere dall’Anm una volta che la norma era stata approvata.
«Io non ne sapevo nulla, me l’hanno proposto alcuni giudici, con la mediazione di qualche collega senatore, mi sono trovato d’accordo e ho sottoscritto anche questo emendamento, tra circa 150. Sinceramente ritenevo fosse inammissibile, perché è una norma ordinamentale che non ha nulla a che vedere con le spese dello Stato», disse Tancredi una volta scoperto. Senza, però, fare i nomi.
© Riproduzione riservata