C’è voluto del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti, cantava Franco Battiato prendendo in prestito Jacques Brel. E di talento ce ne vuole davvero tanto per conservare intatti voce, parole, abilità strumentali come hanno dato prova qualche giorno fa i JFK & la sua bella bionda (Lelio Morra, voce e chitarra; Federica Morra, cori; Gian Marco Libeccio, chitarre; Fabio Caliento, batteria).

Nello storico auditorium Novecento di Napoli, già sede della Società Fonografica Napoletana (una delle prime etichette discografiche al mondo fondata nel 1901), a quasi dieci anni dal loro ultimo concerto la band, definita “la colonna sonora dei napoletani nati tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90” (copyright Alessandra Farro), è tornata a riunirsi per quel che più un’operazione amarcord ha il sapore di una ripartenza con una nuova consapevolezza.

L’occasione era celebrare l’uscita poco più di una decade fa del loro unico album, “Le conseguenze dell’umore” (Polosud records), tra i primi dieci dischi più venduti in Italia nella settimana di lancio e da più di 400.000 ascolti su Spotify, suonato in lungo e largo per l’Italia durante più di 500 concerti, e che ha raccolto anche diversi premi.

Motore della band è da sempre Lelio Morra, già leader degli Eutimìa (e giovanissimo premio De Andrè nel 2005) che da tempo ha intrapreso un’interessante carriera da solista, fra major come Universal ed etichette indipendenti.

Lelio Morra
foto Lorenzo Cabib

Due band (Eutimìa e JFK), una carriera da solista, due album, diversi EP, un cassetto pieno di testi nuovi. Perché un concerto-revival?

Più che un revival lo definirei un concerto con canzoni che mantengono emozione ed energia tra noi ed il pubblico. Non era scontato, buona parte di questi brani costituiscono sostanza del nostro DNA emotivo ed abbiamo percepito sia lo stesso anche per chi ci ascoltava. La sala era piena, non tutti sono riusciti ad entrare, tra chi cantava, chi piangeva, chi si abbracciava: è stato speciale.

Presupposti che sanno di reunion.

Non abbiamo un piano preciso, ma il benessere dell’altra sera ci farà senz’altro bene.

Lei però durante il live qualche inedito l’ha cacciato.

Ho un cassetto pieno di canzoni, ma per arrivare alla pubblicazione di un album c’è un lavoro molto lungo e meticoloso che non ho ancora iniziato. Mi piace che diversi nuovi brani abbiano un piglio narrativo che racconta in terza persona, storie di altri attraverso la mia prospettiva.

“Elena”, uno dei suoi brani più famosi, con più di 500.000 ascolti su varie piattaforme, è proprio questo.

Racconta di una ragazza che ho conosciuto al Centro Europeo di Toscolano (CET) di Mogol, ero lì per una borsa di studio. Suonava sempre col sorriso e spesso era un walzer, lo faceva per lei e per noi che l’ascoltavamo intorno al pianoforte. E’ una canzone da cui traspare gioia e che arriva al pubblico con semplicità, ed è anche stato il brano con cui ho tirato una linea temporale sia per la mia scrittura che per il mio percorso da band a solista.

Da solista tante collaborazioni, numerosi brani scritti per conto terzi, un contratto con la Universal e poi un album, “Esagerato”, nominato anche al Premio Tenco. E quella strana connessione con l’Empoli Calcio…

Lo scorso maggio mi chiama Rebecca Corsi, amministratrice delegata dell’Empoli. Mi racconta che la squadra sta lottando per non retrocedere e che per darsi la carica giocatori e pubblico intonano il mio brano più noto, “Dedicato a chi”. Una canzone che parla di resistenza, del coraggio che serve per non arrendersi anche quando tutto sembra perduto: la squadra si salverà all’ultima giornata di campionato.

A salvezza conquistata, la Corsi la invita allo stadio.

Per cantare “Dedicato a chi” in occasione di Empoli-Napoli all’8° giornata di Serie A. L’idea era quella di veicolare il messaggio della canzone al di fuori delle bandiere calcistiche. Sono felice di come sia andata perché è stata apprezzata da entrambe le tifoserie. Poi non avevo mai cantato in uno stadio, e il Napoli ha anche vinto.

Lei ha fatto del viaggio quasi una cifra stilistica.

“Gente Comune”, uno dei brani de “Le conseguenze dell’umore”, parla essenzialmente di questo. L’ho scritta in un ostello a Nantes: a distanza di tempo, è l’unico brano che ho sempre tenuto anche nei miei concerti da solista perché descrive me ed il mio rapporto con il fare musica meglio di qualsiasi altra canzone. Mi affascina essere cosciente che quel viaggio è lo stesso di cui stiamo parlando adesso e che porto di volta in volta su un palco. E’ una sorta di patto con me stesso.

Per questo prova a portare in giro altri cantautori con “Fuori salotto”, di cui è direttore artistico?

Un progetto che nasce da un senso di frustrazione: l’overdose del digitale, sia nella musica che nelle relazioni, e quindi la necessità di tornare fisicamente nei luoghi generando benessere. Creare in spazi non convenzionali le condizioni per l’ascolto in un momento storico in cui si ha sempre meno tempo. Si rimette al centro la musica lasciando da parte l’essere eternamente connessi.

Un format che ha riscosso successo in giro per l’Italia, creando un salotto itinerante della canzone.

Con oltre 60 eventi realizzate in diverse città (quali Milano, Napoli, Roma, Torino, Palermo, Catania) “Fuori Salotto” è diventato un riferimento per artisti emergenti, offrendo al contempo una dimensione alternativa per nomi più noti. Da questo mese faremo tappa fisa al “Base” di Milano, abbiamo cominciato lo scorso 26 gennaio ospitando Nicolò Carnesi.

Anche “Le conseguenze dell’umore”, album omaggiato all’auditorium Novecento, è figlio di un viaggio.

Dopo l’esperienza con la mia prima band, gli Eutimìa, avevo bisogno di nuovi stimoli. Un giorno all’università conosco un ragazzo americano. Non ricordo il nome, ma mi dice: “Ascolta i Beirut”, un gruppo allora emergente. Brani come “Elephant man” e “Nantes” mi hanno aperto un mondo, al punto che raggiungo la città francese in treno ed autostop. In Francia ho composto i primi brani dei futuri JFK: non mi sono laureato ma si può dire che l’università sia stata fondamentale. L’incontro con quel ragazzo mi ha cambiato la vita.

Al ritorno a Napoli, tocca però concretizzare le suggestioni dell’esperienza francese…

Torno con la testa piena di canzoni e dei riferimenti sonori precisi, che avrebbero caratterizzato poi “Le conseguenze dell’umore”. Ne parlo con il Presidente di Musicisti Associati, Massimo Abbruzzese, che purtroppo è recentemente scomparso. Lui mi indirizza verso Willy David, storico produttore di Pino Daniele. Un personaggio molto rock and roll che ha scritto la storia della musica e dal carattere assai deciso che mi affida al produttore artistico Ernesto Nobili esclamando: “Ernè, qui c’è un ragazzo che si crede Edoardo Bennato, ma le canzoni sono buone” e suggerendo a mia sorella Federica, bruna coi capelli ricci: “Per prima cosa, ti devi mettere una parrucca bionda in testa”. Un inizio indimenticabile.

Uno scossone positivo, a giudicare dal risultato: la sua voce si incastra alla perfezione con quella di Federica Morra.

La sua è una voce dai retaggi soul, solare e struggente allo stesso tempo. Quando cantiamo insieme siamo un unico suono, un’unica frequenza. Questo modo di utilizzare le voci all’unisono o armonizzate, in buona parte di una canzone, si può dire sia scuola Beatles, o per esempi più recenti ben riusciti penso ai Baustelle.

Fratello e sorella in un gruppo: vengono in mente i bollori dei fratelli Gallagher degli Oasis.

Siamo un po’ i Gallagher di Pizzofalcone, nati nel Cavone di piazza Dante nel cuore di Napoli. La forza della band è sempre stato l’affetto umano che ci lega, e quanto questo passi nella musica per arrivare alla gente. Fabio Caliento alla batteria ora gestisce il suo Elephant Studio, e Gian Marco Libeccio alle chitarre ultimamente ha timbrato tutte le pagine del passaporto con il suo progetto, “Suonno d’ajere”, con cui porta la musica napoletana in giro per il mondo.

A proposito di Napoli nel mondo: l’altra sera l’auditorium era pieno di tanti ragazzi che in città non vivono più. Com’è tornare, ora che essere partenopei è di moda?

La data è stata certamente fortunata: era l’ultimo giorno prima del grande rientro post-Epifania. Facce che non vedevo da anni, amici sparsi in giro per il mondo. La città invece mi sembra meno partenopea che mai. Minore criminalità e più B&B, va bene. Non apprezzo però la mercificazione del folklore, l’identità della città ne risente. O semplicemente è in mutazione e non credo l’avremmo mai detto in questi termini.

Lei, a differenza di tanti artisti napoletani affermati, non ha mai giocato sulle sue origini.

Per citare il paragone di Willy David, Edoardo Bennato non lo senti cantare in napoletano ma ne percepisci comunque le origini. Se qualcuno coglie la mia napoletanità ben venga, ma non ne ho mai fatto un tratto distintivo o un vanto, non trovo sia vincente perché spesso è forzato. Napoli è ingombrante, e come le grandi storie d’amore bisogna usare enorme delicatezza.

Una grande storia d’amore è quella della città con Pino Daniele, che ha ricordato duettando con Massimo De Vita, in arte Blindur.

Abbiamo sussurrato assieme al pubblico “Lazzari felici” come facemmo dieci anni fa in piazza del Plebiscito. Oddio, lì non fu proprio sussurrare. C’erano migliaia di persone, un flash mob spontaneo. Tantissime persone ma poche chitarre: suonare fu difficilissimo, ci stracciammo le mani e la voce. Tuttavia fu stupendo perché sentito. C’era la necessità di stare assieme, riconoscersi nel dolore, con attorno alla piazza un silenzio irreale.

A un dolore, o meglio un amore tormentato, fa riferimento anche “Giganti”, brano da 400.000 ascolti che apre il suo album da solista, “Esagerato”.

E’ una canzone a cui sono molto legato, in cui ho lavorato molto nella ricerca del suono (qui insieme a Stefano Bruno) che poi ha caratterizzato l’intero disco. Credo che il brano abbia centrato la timida esigenza di cristallizzare in pochi minuti qualcosa di importante del mio vissuto. Quando le canzoni parlano davvero di vita vissuta fanno bene il loro dovere perché ci si riconosce, ci si avvicina. La sincerità nella creazione, insieme alla dose necessaria di mestiere, sono armi che provo sempre a tenere dalla mia.

Una frase di un suo brano recita: “Guardo il mondo ormai solo da finestre diverse”. Per concludere, a quale finestra si affaccia all’inizio di questo 2025?

Da una finestra dove osservo quel che ho già visto perché la mia vita mi appassiona, sguardo in avanti e attenzione alle canzoni.

 

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Roberto Calise (Napoli, 1987) è il responsabile delle relazioni istituzionali di una multinazionale di trasporto passeggeri su gomma. In precedenza, ha lavorato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, al dipartimento studi della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo, e come collaboratore parlamentare in Commissione Trasporti alla Camera dei Deputati. Da giornalista collabora con diverse testate ed è stato inviato al G7 dei Trasporti di Cagliari nel 2017, al G20 dell'Energia e dell'Ambiente di Napoli nel 2021, e nuovamente al G7 dei Trasporti, questa volta a Milano, nel 2024.