Scegliere se aspettare che passi la tempesta o iniziare a danzare
L’epoca 4.0 ci chiama a ballare sotto la pioggia, le parole di Gandhi e la non ricerca del consenso come stella polare
La rubrica “L’umanista” di Alessandro Chelo, esperto di leadership e talento. In qualità di executive coach, ha formato centinaia di manager dei principali gruppi industriali e ha lavorato al fianco di alcuni fra i più affermati allenatori di calcio e pallavolo
I processi di digitalizzazione e globalizzazione ci mettono di fronte a nuove sfide. Non alludo solo a sfide strettamente professionali: l’epoca 4.0 ci chiama anche a un nuovo atteggiamento esistenziale. Si sa, il cambiamento è sempre faticoso e stressante. Lo è quando si cambia casa, lo è quando si cambia lavoro, lo è quando si cambia partner. Non stupisce che cambiare la nostra relazione col mondo, come la nuova epoca richiede, generi stati di ansia, paura, incertezza. Così abbiamo l’impressione che abbia preso a piovere e a tirare un forte vento e che non si sia attrezzati per reggere la tempesta.
Le parole di Gandhi, più che mai attuali, ci possono venire in soccorso: la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia. Certo, per danzare è necessario possedere delle specifiche competenze, ma per danzare sotto la pioggia le competenze tecniche non sono sufficienti, è anche e soprattutto questione di atteggiamento: siamo chiamati ad adottare un nuovo sguardo sul mondo. Tale sguardo è favorito dall’adozione di cinque meta-competenze: apertura mentale, attenzione alle persone, spessore relazionale, autonomia di giudizio, responsabilità individuale.
I danzatori sotto la pioggia, adottando un atteggiamento incentrato su queste meta-competenze, partecipano più attivamente al divenire del nostro tempo e sperimentano nuovi punti di vista, oltre gli stereotipi. Rifiutano un’idea di coerenza tutta racchiusa nei rimpianti del nostalgico, dell’uomo tutto di un pezzo che sta fermo nel divenire del mondo. Chi balla sotto la pioggia, proprio per mantenere coerente il suo rapporto col mondo, sa cambiare col divenire del mondo.
Per ballare sotto la pioggia, occorre mettersi in continua esplorazione del bello che si nasconde negli altri e nei loro diversi comportamenti e punti di vista e interagire con persone provenienti da culture differenti. Sì, perché non vi è un unico modo di vivere, ma vi sono, al contrario, molti modi diversi a seconda dei vincoli e delle opportunità dell’ambiente. Così facendo, si incontrano culture diverse, con lo stesso atteggiamento di chi esplorasse un lontano pianeta: gusto della scoperta, assenza di pregiudizio.
I danzatori del nuovo tempo, di fronte a un dilemma etico, non urlano e vivono con angoscia la ricerca della presa di posizione perché sanno che i veri dilemmi etici non riguardano le scelte fra il “bene” e il “male“, ma quelle tra forme diverse di bene: gli urlatori di certezze sono uomini della vecchia epoca. Non si affidano al pensiero dominante, neanche quando vestito da pensiero ribelle, scelgono e decidono senza cercare legittimazione da parte degli altri: non importa tanto il consenso, quanto ciò che si ritiene “giusto”. Accodandosi al branco, non si balla, si marcia, per danzare è necessario invece adottare con coraggio e senza spirito esibizionistico, atteggiamenti non convenzionali.
I danzatori che sfidano la pioggia, sono ben consapevoli della multiformità e contraddittorietà delle persone, quindi rifiutano ogni etichetta totalizzante e si appassionano alle vicende umane di qualunque individuo garantendo il proprio sostegno.
Essi non si accontentano dei rapporti interfunzionali, si muovono sul piano della relazione profondamente umana, raccontandosi, mettendosi in gioco e esprimendosi con semplicità. Il rapporto personale viene così vissuto in modo non finalistico, non funzionale a questo o quell’obiettivo, diventa la vita stessa, il gusto per la vita. Così facendo, imparano ad accettare gli altri “all inclusive”, comprendendone le più contraddittorie sfaccettature, cercando di cogliere ciò che di buono si cela nelle parti socialmente meno convenienti.
La scelta di ballare sotto la pioggia, rappresenta in sé un gesto di responsabilità, non é una scelta obbligata. In effetti, non esistono scelte obbligate, ogni nostra azione é frutto dell’esercizio della nostra libertà: possediamo le risorse per andare oltre i condizionamenti del “sistema”. Gustav Kaeser diceva che non è così importante ciò che ci viene messo nella culla, quanto lo è l’uso che ne facciamo.
Ciò che ci viene “messo nella culla”, riguarda il nostro DNA e l’ambiente sociale, culturale ed economico in cui cresciamo. Non scegliamo né l’uno né l’altro, ci viene messo nella culla, appunto. Ma che uso ne facciamo? Cos’è che ci fa decidere che uso farne? Possiamo scomodare parole come “coscienza” o come “libero arbitrio”. Preferisco più semplicemente fare un’affermazione: ogni individuo è libero di scegliere, in ogni circostanza, che atteggiamento assumere. Per danzare sotto la pioggia, bisogna dunque imparare a coniugare l’umile rispetto verso la complessità della realtà, con la consapevolezza della propria libera possibilità di influire. Da questo punto di vista, suonano illuminanti le parole di Sant’Ignazio: prega come se tutto dipendesse da Dio e agisci come se tutto dipendesse da te.
Il quadro che ho cercato di delineare, non rappresenta un modello al quale aderire, ma un ideale al quale ispirarsi, una stella polare che ci indica la via. Ognuno può scegliere liberamente se aspettare che passi la tempesta o iniziare a ballare sotto la pioggia.
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