Candidare contemporaneamente Marco Tarquinio e esponenti schieratissimi con la Resistenza ucraina non sarebbe prova di pluralismo: ma di schizofrenia o peggio di opportunismo politico, marketing elettorale, “scegli uno e prendi due” come nelle offerte al supermercato. Il Pd non può cavarsela trincerandosi dietro la legittimità di tutte le posizioni. Perché qui si parla di valori fondamentali, la libertà di un popolo, la democrazia, la lotta alla prepotenza e ai disegni neo-imperialistici, cioè questioni non trattabili.

Quale credibilità avrebbe il Pd come partito di governo? Le posizioni di Tarquinio sono nette, estreme, sono quelle di Carlo Rovelli, Giuseppe Conte o di Michele Santoro che infatti presenta una sua lista soi disant pacifista ma in realtà ostile a Zelensky nel momento stesso in cui auspica uno sganciamento dell’Occidente dalla causa ucraina, e dunque sono scelte incompatibili con la posizione del Pd ribadita più volte con voti parlamentari a fianco della Resistenza anche con le armi. È una linea che si fa scudo delle parole di papa Francesco, il quale ovviamente ha tutt’altra funzione nel mondo, comunque posizioni che hanno diritto di essere sostenute nell’ambito del partito (di cui peraltro Tarquinio non fa parte).

Ha detto una delle persone più nobili del Pd, Pierluigi Castagnetti, persona di tale levatura che è difficile contraddire: «Io che non ho avuto e non ho dubbi a sostenere l’Ucraina nell’aggressione di Putin, penso che la presenza in lista di un pacifista rappresenti il legittimo pluralismo presente nell’elettorato Pd, oltre che un’utile tensione valoriale nel confronto interno».

E però a nostro avviso c’è un equivoco di fondo sul termine “pacifista”. Perché è sin troppo facile dire che si è contro la guerra, meno agevole è capire quali sono le conseguenze del “pacifismo”: non mandare le armi all’Ucraina equivale a far vincere Putin, dunque dare ragione alla guerra e a chi l’ha iniziata, dunque il contrario del pacifismo vero. Ma poi la candidatura è una cosa diversa. È l’immagine e il veicolo con cui si chiede il voto e ci si presenta a Bruxelles. Dove per inciso la linea del Pse non è affatto quella dell’ex direttore di Avvenire ma anzi è antitetica.

Forse il Pd vuole portare nella famiglia dei socialisti e democratici posizioni anti-atlantiste? Attenzione, la prossima legislatura europea vivrà sulla questione di un nuovo ordine mondiale che si spera non debba fare i conti con la tenaglia Putin-Trump, e però bisogna attrezzarsi dinanzi a una prospettiva che richiederà certo intelligenza politica ma soprattutto fermezza, a partire dalla politica europea di difesa, quella fermezza che non potrà prescindere dall’appoggio delle grandi famiglie democratiche: socialista, popolare e liberale.

Non andiamo insomma incontro ad un periodo normale. Per questo qui c’è poco spazio per sfumature. Per dubbi. Quelli ce li abbiamo tutti. Ma voler lasciare Kiev sola non è un dubbio: come detto, è la linea di Santoro, Conte, Salvini. Ora, si sa che le liste elettorali devono sempre essere plurali, ricche, aperte, è sempre così: c’è il dirigente della Cgil che parla (in teoria) ai lavoratori, c’è l’ambientalista, c’è l’intellettuale, c’è l’imprenditore e via dicendo.

Qui però si sta parlando di un’altra cosa. La questione della guerra anti-russa è troppo importante per giustificare la logica del “ma anche”. Qui o si sta con Santoro o si sta con la posizione ufficiale del Pd, quella che non senza fatica portano avanti Lorenzo Guerini, Piero Fassino, Pina Picierno, Lia Quartapelle, Enzo Amendola e via dicendo e che Elly Schlein ha fatto propria: si sta con l’Ucraina senza se e senza ma. La leader del Pd si dovrà convincere che anche se dovesse costare qualcosa – il che è tutto da dimostrare – in fatto di voti, meglio scegliere la coerenza. I grandi partiti, di norma, fanno così.