L’equo compenso? Così si salvano i diritti e anche gli avvocati

La Campania è la prima regione italiana per numero di avvocati (33.362) e Napoli la terza provincia, dietro solo a Roma e Milano (12.600). E la Campania è la seconda regione in Italia, dopo la Calabria, per densità di iscritti all’Ordine, con 5.9 avvocati ogni mille abitanti. Ancora è in Campania che gli avvocati stentano maggiormente, insieme con altre regioni del Sud, facendo registrare redditi più prossimi alla soglia di povertà (24.905 euro di media annua). Tra le varie cause di questa proletarizzazione della professione spiccano soprattutto i compensi professionali irrisori e mortificanti, dovuti alla mancanza di tutela legislativa per le nostre prestazioni. In questo scenario drammatico, finalmente il primo progetto di legge per il riconoscimento di compensi professionali degli avvocati dignitosi approda per la discussione alla Commissione Giustizia della Camera.

Sono passati 14 lunghi anni dalla nefasta pubblicazione della legge di conversione del decreto Bersani, che aboliva i minimi tariffari obbligatori, e ben otto dalla conversione del decreto Cresci Italia del governo Monti, che aboliva del tutto le tariffe professionali. Gli obiettivi sbandierati all’epoca dal Legislatore erano in primis quello di adeguare la normativa italiana a quella europea, liberalizzando il mercato ed eliminando le tariffe minime; in secondo luogo, quello di favorire il rilancio economico e dell’occupazione; infine, quello di aiutare i giovani professionisti ad acquisire fette di mercato. Ci hanno raccontato bugie. Tutto falso! E infatti nessun obiettivo preannunciato era reale e quindi non è stato conseguito. Anzi, abbiamo avuto effetti contrari: la Corte di Giustizia europea più volte si è pronunciata per il riconoscimento dell’obbligatorietà delle tariffe negli Stati membri; non si è visto alcun beneficio del sistema produttivo ed economico né alcun incremento occupazionale; i giovani, parte più debole, sono rimasti schiacciati dalla speculazione selvaggia al ribasso.

E, aggiungo, nessun beneficio per il cittadino consumatore si è registrato ma, al contrario, un assist invitante ai poteri forti e che ha portato al tragico impoverimento della nostra professione. E allora l’Organismo congressuale forense, l’organismo politico nazionale dell’avvocatura, ha iniziato a spiegare ai cittadini che riconoscere ai legali un compenso adeguato e dignitoso significa garantirsi una prestazione professionale di qualità e un avvocato autonomo e indipendente, oltre che ottenere una tutela effettiva alla propria domanda di giustizia. Dunque, la nostra non è soltanto una battaglia sindacale, ma è anche una battaglia per la tutela effettiva dei diritti e delle prestazioni professionali: sostenibilità della professione e qualità della prestazione sono due facce della stessa medaglia.

Pertanto, è stato elaborato un progetto di legge dall’organismo politico dell’avvocatura, che prevede un rafforzamento della norma dell’equo compenso, nata incompiuta tre anni fa come mera enunciazione di principio, con l’inserimento di una specifica sanzione di nullità per gli accordi con compensi irrisori, che è volto a ottenere la reintroduzione dei minimi parametrali inderogabili. Questi ultimi devono essere previsti per tutte le prestazioni professionali e stragiudiziali offerte dagli avvocati, anche nei confronti dei singoli privati, con contestuale riduzione della ormai intollerabile pressione fiscale, anche con previsione di maggiori possibilità di deduzioni e detrazioni, passando attraverso un alleggerimento e bilanciamento della contribuzione previdenziale almeno per le fasce più deboli. L’avvocatura, anche attraverso le prossime audizioni in Commissione Giustizia, dovrà sollecitare la reintroduzione di parametri minimi inderogabili per tutte le nostre prestazioni professionali, oltre alla riduzione della pressione fiscale.