Come può garantire la salute dei cittadini una sanità che si svuota, che ogni giorno perde pezzi e che non riesce ad attrarre e a trattenere le energie migliori? Molto semplice: non può. E quel che può lo fa molto peggio di come invece dovrebbe. In molti si sono esercitati ultimamente nell’analisi di numeri implacabili, che riguardano l’impressionante e sempre crescente schiera di medici italiani che scelgono di trasferirsi all’estero per ottenere condizioni di lavoro più vantaggiose e soddisfacenti.

Così come è noto il problema di organico degli infermieri, il cui numero totale è molto lontano dal plenum funzionale delle nostre strutture sanitarie. E non parliamo, purtroppo, di centinaia di unità, ma di decine di migliaia di posti vacanti, che si traducono giocoforza in mancata o pessima assistenza per chi si rivolge alla sanità pubblica. Il tutto, ovviamente, nonostante gli sforzi quotidiani di chi invece resiste al suo posto, nei reparti e nei pronto soccorso affollati, a fronteggiare una marea di richiesta che inevitabilmente li travolge, prima con l’urgenza e poi con l’insoddisfazione. Al danno, insomma, come sempre si aggiunge la sua immancabile e sarcastica compagna: la beffa.

Segui i soldi e trovi il problema, si potrebbe dire. Ma qui ogni indagine è davvero superflua, perché che le condizioni economiche di medici e infermieri siano nel nostro Paese fuori mercato – a livello europeo – è cosa nota. Ma non è solo questo, perché i nuovi camici molto spesso scelgono di lasciare l’Italia anche per altri motivi non secondari, che vanno dalla mancanza di prospettiva di crescita e di carriera, alla consapevolezza di dover affrontare turni massacranti dovuti appunto alla carenza di organico, fino all’angoscia per la propria sicurezza. Ecco, quest’ultimo è un altro tasto dolente, rappresentato da statistiche che raccontano di migliaia di casi ogni anno di aggressioni fisiche, anche gravi, che si consumano nei pronto soccorso e nei reparti ai danni del personale sanitario.

La situazione dell’impiego in questo settore è tanto compromessa da rendere difficile anche solo immaginare una soluzione che si manifesti efficace in tempi apprezzabili. Perché al di là della fuga dei camici verso l’estero, il nostro sistema vive uno squilibrio preoccupante tra il numero di medici e infermieri che vanno in pensione e quello dei nuovi laureati che si affacciano alla professione, con i primi che sono da diversi anni in preoccupante vantaggio numerico. Così, di anno in anno, il problema assume proporzioni sempre più allarmanti.

Ho sempre pensato che ci siano tre categorie sui quali non si può risparmiare. Tre categorie che assolvono ognuna un compito tanto importante che dovrebbe obbligarci a selezionare solo i migliori e a pagarli più che decorosamente: gli insegnanti, gli operatori di pubblica sicurezza e, appunto, il personale sanitario. Non c’è nulla di morale in questo – anche se si potrebbe ben argomentare anche in questo senso – ma il punto è semplicemente di buon senso. I cittadini hanno diritto a un presente sicuro e a poter riporre speranza nel futuro, e queste categorie sono fondamentali per coltivare tale fin troppo legittima aspirazione.

Bisogna quindi fare di tutto per trattenere i giovani medici e infermieri che formiamo – per altro in modo eccellente – nel nostro Paese. Tanto per concedere loro di potersi realizzare lì dove sono nati e cresciuti, senza doversi separare dai luoghi cari e dalle famiglie di origine. E altrettanto perché la loro opera possa essere prestata a vantaggio di tutti noi.