E così ci risiamo. La tregua è già finita, e non abbiamo neanche avuto il tempo di apprezzarla. Tra un ordine del governatore che rende ancora più stringenti i divieti nazionali e un post del sindaco che sempre più esplicitamente li contesta, siamo ripiombati nella peggiore ordinarietà istituzionale. Quella di cui non avvertivamo alcuna nostalgia e che già in tempi pre-virus, quando – sbagliando – credevamo di essere al culmine di una tempesta senza precedenti, ci suggeriva cicliche e sconfortate considerazioni. Una ordinarietà che oggi più di ieri farà di di Napoli una sorta di Macondo italiana: con De Luca nei panni di Don Apollinare Moscote, il “Corregidor” venuto da fuori a vietare, intimare e disporre con le sue ordinanze e de Magistris in quelli di Josè Arcadio Buendìa, pronto a ricordargli che “non abbiamo bisogno di nessun Corregidor, perché qui non c’è nulla da correggere”.

Il duello è di quelli assoluti. Da una parte il senso di responsabilità a cui si appella il governatore. Dall’altra il buon senso a cui fa invece riferimento il sindaco. No alle pizze da asporto, no alle saracinesche incondizionatamente aperte dei negozi per l’infanzia e no alla riapertura delle librerie, dice De Luca. Ma de Magistris non ci sta. Le pizze? “Qualcuno dovrebbe spiegarmi perché c’è questo accanimento. Con il cibo consegnato a casa c’è meno gente per strada”. I negozi? “Se diciamo che bisogna evitare gli assembramenti poi non puoi autorizzare le vendite solo due giorni a settimana e per giunta in orari determinati”. I libri? “Si poteva creare un circuito con le librerie di prossimità. E invece niente, come se la cultura non fosse necessaria”. Un crescendo non privo di retorica: Napoli è sempre stata una delle città dove si legge poco, cosa ha fatto per questo il sindaco?

In ogni caso, siamo alle solite. Se il governatore mette il punto, il sindaco mette la virgola. E se da una parte si pretende l’ordine, dall’altra si invoca la libertà. Tutto come prima. Ma ora ci sono due fatti nuovi a peggiorare le cose. Il primo: il contesto istituzionale generale. Ormai si duella ovunque, e ciò che de Magistris fa con De Luca, De Luca fa con Conte, e come De Luca fanno tutti gli altri presidenti di Regione, così che non si capisce più dove sia l’autorità, dove lo Stato, dove il decisore ultimo. Il secondo: il contesto politico locale.

Qui, già deboli storicamente, i partiti sono ora letteralmente spariti, come nascosti dietro le posizioni note dei vertici nazionali; come se non ci fossero problemi specifici da affrontare o “fasi due” da calibrare rispetto alle diverse compatibilità territoriali. La conseguenza di questo combinato disposto è che De Luca e de Magistris, da un lato, alimentano il proprio ego facendosi ulteriormente ispirare dal primo contesto (litigano tutti, litighiamo anche noi) e, dall’altro, si ritrovano ad essere gli unici protagonisti in campo rispetto al secondo: soli nel deserto politico, l’uno contro l’altro, senza nessuno nel mezzo a smussare gli angoli e a fare proposte.

Del resto, è incontestabile. Dalle nostre parti la politica o è istituzionale o non è. O la fanno De Luca e de Magistris, con le conseguenze che sappiamo, o non si capisce chi la fa. Qui perfino le Sardine non sono mai riuscite ad attecchire. Già pochissime a Scampia, già poche nelle piazze del centro, ora sono solo una specie estinta. Cancellate dalla digitalizzazione delle relazioni sociali. Proprio loro che avrebbero dovuto esprimere la politica a più dimensioni. La differenza con Macondo è che lì c’erano moltitudini di eroi. Qui a Napoli ad affrontarsi sono rimasti sempre i soliti due.