Gli emendamenti dem alla riforma della giustizia
Letta non dà la scossa, il PD riparte da Bonafede
Nel Pnrr l’emergenza-giustizia è indicata come priorità a chiare lettere. L’assenza di tempi certi per il processo, la riforma del processo civile, penale, del Csm, la costituzione dell’ufficio del giudice e l’assunzione di personale sono temi indicati ancora ieri da Draghi nelle sue comunicazioni al Parlamento. «Ma mancano le indicazioni sul come realizzarle», avverte Giovanni Maria Flick. E tra i partiti di maggioranza riprende il confronto per quello che la ministra Cartabia auspica essere un ritrovato equilibrio tra le istanze. Anche il Pd del nuovo corso di Enrico Letta prova a fare i conti con l’orizzonte che si è aperto con Draghi e Cartabia, lanciando lo sguardo oltre le macerie dello scandalo Csm-Palamara.
La responsabile Giustizia del Nazareno, Anna Rossomando, convoca una conferenza stampa nella quale ripristina i valori fondanti dei Dem, rispondendo alla domanda del Riformista: «Siamo una forza politica di centrosinistra e il garantismo è uno dei fondamenti dell’essere di centrosinistra, delle civiltà giuridiche e delle democrazie liberali». Le intenzioni sono buone, ma i distinguo forse troppi. All’esame del Parlamento arriva la riforma del processo penale e i Dem presentano un pacchetto di venti emendamenti che intervengono sulla riforma Bonafede, tenuta comunque come base di partenza. A dimostrazione dell’impegno unitario del partito di Letta, compaiono al fianco della Rossomando i capigruppo Pd nelle commissioni Giustizia di Camera e Senato, Alfredo Bazoli e Franco Mirabelli.
Il disegno di legge dell’ex guardasigilli, attualmente in commissione Giustizia a Montecitorio, spiega Rossomando, «contiene degli elementi di novità interessanti. È un disegno di legge depositato durante il governo Conte-bis a cui noi abbiamo dato un contributo di idee e per questo rivendichiamo che ci sono dei punti di avanzamento. Però vogliamo che questi punti siano ancora più incisivi e per questo ci siamo concentrati su tre aspetti fondamentali: potenziamento dei cosiddetti riti alternativi, partendo dal presupposto che la domanda di giustizia è diversa a seconda dei casi e le risposte non possono essere tutte uguali; potenziamento della definizione anticipata quando l’elemento della composizione della conciliazione può essere un interesse prevalente delle parti coinvolte e un beneficio per la collettività che ne ha una restituzione; infine, il tema della prescrizione collegato alla questione del garantire tempi certi per il processo penale».
L’asse su cui si dipanano le proposte Pd è quello della giustizia riparativa, conseguente a un ampio accesso alle pene alternative. «Noi riteniamo – aggiunge Bazoli – che l’impianto della riforma Bonafede vada conservato ma migliorato in alcuni passaggi e magari reso ancor più coraggioso su alcuni aspetti. Su questo ci siamo concentrati immaginando interventi mirati e puntuali. Da noi le statistiche sui riti abbreviati hanno percentuali molto basse che dovrebbero aumentare per deflazionare gli uffici giudiziari. Per incentivare il ricorso ai riti alternativi proponiamo di aumentare la premialità legata all’utilizzo dei riti: immaginiamo per il rito abbreviato una fascia di reati (quelli con pena massima fino a 5 anni) per cui lo sconto di pena può arrivare fino alla metà, mentre oggi è del 30 per cento. Inoltre, se il patteggiamento viene chiesto in fase di indagini preliminari, la premialità può arrivare fino al 50 per cento della pena. Parallelamente- continua Bazoli- abbiamo immaginato di introdurre nel nostro ordinamento lo strumento dell’archiviazione condizionata, come il modello in Germania, che consente, su accordo tra pm e giudici, la possibilità, prima del rinvio a giudizio, che l’imputato adempia ad alcuni obblighi con azioni riparatorie e di risarcimento, assolti i quali il procedimento si archivia. Questo perché riteniamo che un modello di giustizia riparatoria debba essere incrementato rispetto al modello puramente sanzionatorio».
Franco Mirabelli, capogruppo Dem in commissione giustizia al Senato, aggiunge: «È evidente che quando affrontiamo il tema della riforma del processo penale non possiamo limitarci all’assetto delle modifiche normative, c’è un tema dell’aspetto organizzativo che viene affrontato in maniera significativa nel Recovery Plan. In particolare, mettiamo in campo una significativa dote economica di 2,5 miliardi, per mettere nelle condizioni gli uffici del processo che devono coadiuvare i magistrati per accelerare l’espletamento dei propri compiti rispetto alle cause. C’è l’ipotesi di 16 mila addetti per implementare gli uffici del processo, 2mila magistrati aggregati più la novità dell’assunzione a tempo determinato di oltre 4 mila operatori per intervenire sulla digitalizzazione e informatizzazione degli uffici giudiziari». Il lodo Conte (quello di Leu) verrebbe abrogato, nel disegno del Pd, per creare formule di improcedibilità nei casi di superamento dei tempi limite delle fasi del processo.
Interventi che sistemano qua e là le crepe di una riforma sbilenca, dunque, ma che non impattano sulle cause del sovraccarico giudiziario, né tantomeno sulle enormità emerse dal caso Palamara. Il Pd prova a tenere il piede in due staffe: non scontenta l’alleato di ferro, il M5S di Bonafede e Conte, anche se Bazoli mette in chiaro che «il Pd non ha mai votato la prescrizione di Bonafede, ce la siamo trovata». E sollecitato dai giornalisti, sottolinea: «Siamo contro la Spazzacorrotti. Faremo cambiare idea anche a Cinque Stelle e Lega». La parola alle Camere, dalle prossime settimane: è certo che il Pnrr rimarrebbe inapplicabile senza una riforma seria della giustizia. È il momento. Ora o mai più.
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