Esultare magari no. Rallegrarsi però è doveroso. Le primarie si confermano un rito fondativo del Pd pur tra incertezze di linea e di identità, pronostici scontati, strascichi del Covid, la Nazionale più bella in campo e le temperature africane. Sono e restano un virus buono che adesso deve confrontarsi con la “Variante C”, una variante buona che sta per Isabella Conti, la giovane sindaca di San Lazzaro in Savena di tendenza renziana che ha voluto competere a Bologna dove ha strappato il 40,4 per cento dei consensi.
Ha vinto col 59,1% Matteo Lepore, il candidato della tradizione, quello indicato dal sindaco uscente Merola e che ha avuto l’endorsement dei vertici del partito, da Letta a Prodi, ma anche delle Sardine e di Giuseppe Conte. Una specie di predestinato protetto e garantito. Ma il 40% di Isabella Conti significa che c’è una larga fetta dell’elettorato del centrosinistra bolognese che avrebbe preferito candidare a sindaco una donna giovane, capace, progressista e riformatrice, una che ha dato gli asili nido gratis a tutte le famiglie per favorire il lavoro femminile e ha fermato speculazioni edilizie nascoste dal vestito buono delle cooperative. Una che ha detto no all’alleanza con i 5 Stelle se sono e restano quelli di sempre, giustizialisti, statalisti, assistenzialisti. È notizia di ieri che Conte deve rinviare “a data da destinare” la presentazione del nuovo partito. Lo scontro con Beppe Grillo, soprattutto sul suo ruolo di garante politico, sarebbe ben lontano da una soluzione.
La macchina del Pd ha dimostrato di poter essere ancora performante. Il segretario Letta domenica sera poteva tirare un sospiro di sollievo: se si fosse ripetuto il flop di Torino (12 mila votanti) il Nazareno avrebbe avuto un problema in più. Oltre a quelli che già ha, tirato da una parte verso il magna informe dei 5 Stelle la cui soluzione Giuseppe Conte è continuamente costretto a rinviare. E dall’altra dalla corrente di Base Riformista, gli ex renziani che si sentono gli interpreti originari di quello che è stato lo spirito fondativo del Pd: unire i riformismi delle famiglie del centrosinistra contro i massimalismi. Sono state due competizioni diverse. A Roma è stato ancora più difficile richiamare elettori ai gazebo per via dell’esito scontato. Al di là di qualche polemica sul numero reale dei votanti (45 mila ma Caudo corregge al ribasso: “Massimo 37 mila”) i numeri sono tali che nessuno può discutere l’investitura di Gualtieri. La cui linea è stata ribadita la scorsa notte: «Adesso avanti, dobbiamo ricostruire Roma (cioè, è stata distrutta, ndr) e mai un 5 Stelle in giunta».
A Bologna invece il test è stato soprattutto politico perché il confronto Lepore-Conti avrebbe disegnato il perimetro della coalizione in appoggio al nuovo sindaco. Tutta spostata a sinistra e sui 5 Stelle se Lepore avesse stracciato Isabella Conti. Che ha perso ma con il suo 40% costringe il Nazareno al confronto con la parte riformista, renziana e contraria all’alleanza con i 5 Stelle. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che di Base Riformista è il fondatore non vuole entrare in dinamiche locali ma interpellato sulle valenze nazionali del caso Conti, la mette così: «Le primarie hanno un senso se non diventano una conta interna o l’obbligo a votare un candidato prestabilito. A Bologna c’è stato un confronto vero, politico, e credo sia stato un bene per il Pd». A questo punto Matteo Lepore «è il candidato e tutti lo devono sostenere con lealtà e impegno». Ma i temi e il profilo di Isabella Conti «hanno avuto un tale consenso che è giusto e utile non disperdere».
Conti rivendica felice ed orgogliosa la sua battaglia di “Davide contro Golia”, di una squadra bellissima che «ha combattuto con le fionde contro i carri armati». Il rischio di una lista Conti che piacerebbe tanto anche al centro è scongiurato. Pare. Dopo i veleni della campagna elettorale i due ex sfidanti si dicono «pronti a lavorare insieme per sconfiggere il centrodestra». L’incognita sono sempre i 5 Stelle. Fino a che punto Lepore li vorrà coinvolgere? Anche il centrodestra, prima di indicare il candidato, a spetta questa risposta. Si completa così la griglia dei candidati sindaco del centrosinistra nelle grandi città nelle prossime amministrative: Gualtieri a Roma, Lepore a Bologna, Sala a Milano, Manfredi a Napoli, Lo Russo a Torino. Solo nelle cinque grandi città al voto andranno alle urne circa cinque milioni di elettori. Più che sufficiente per definirlo un test politico. Che vede il centrodestra più o meno unito anche se ancora mancano i nomi per Milano e Bologna.
Il centrosinistra invece procede a geometrie variabili: a Torino Lo Russo ha chiuso la porta in faccia ai 5 Stelle (la cosa è reciproca) ed è più facile che unisca al centro con Azione e Italia viva; a Bologna, al contrario, Lepore vorrebbe l’alleanza con i 5 Stelle cosa che ha seccamente escluso Gualtieri a Roma che contenderà gli elettori di centrosinistra a un sempre più insidioso Carlo Calenda (che potrebbe pescare anche a sinistra e a destra) e alla blindata (da Conte) Virginia Raggi. A Milano l’uscente Sala fa storia a sé. Così come Napoli dove Conte e Letta hanno convinto l’ex ministro Manfredi a tentare la sfida al candidato del centrodestra, il magistrato Catello Maresca. Maggioranze variabili, appunto. E perimetri politici ondivaghi. Che le tensioni nel Movimento tra Conte e Grillo non aiutano a stabilizzare.