Un nuovo codice degli appalti che dovrebbe semplificare. Un disegno di legge sulla concorrenza, quella che l’Italia quasi mai porta a termine perché il potere di interdizione delle lobby alla fine vince su tutto. Il decreto bollette in sostituzione di quello che va a scadere il 31 marzo per non mettere in ginocchio imprese e famiglie visto che i costi dell’energia, nonostante i prezzi delle materie prime siano tornati a livelli pre-conflitto. È un Consiglio dei ministri importante quello convocato ieri a palazzo Chigi.

Con un convitato di pietra ingombrante ed esigente come il Piano nazionale di ripresa e resilienza che non sta andando come dovrebbe e ha messo il governo italiano nel mirino della Commissione europea: alcuni dei 55 target del secondo semestre 2022 sono stati bocciati dai controllori europei e la Corte dei Conti giusto ieri ha presentato alla Camera la relazione semestrale con cui certifica che finora sono state spese il 10% delle risorse messe a disposizione, più o meno venti miliardi di euro. Un Consiglio dei ministri che oltre alla parte di merito deve prendere per le corna il più grosso problema della maggioranza: l’assenza di unicità nelle scelte e nella visione politica. «Abbiamo vari problemi su singoli dossier – dice un ministro di Fratelli d’Italia che chiede di restare anonimo – quelli di tipo tecnico stiamo cercando di risolverli anche se la Commissione a Bruxelles non ci sta aiutando. Quelli politici sono però solo e soltanto affare nostro».

E se il cambio di governance in Forza Italia con la fine dell’era Ronzulli lascia presupporre che da quella parte l’opposizione interna sia stata messa a tacere, il problema resta grosso come una casa “con la Lega ma soprattutto all’interno di Fratelli d’Italia”. Il partito della premier è in fermento perché non piace a tutti la lenta ma costante trasformazione di Giorgia Meloni da leader di un partito nazionalista e sovranista a leader di un partito conservatore. Che si trova a dover dire ai suoi e agli alleati: “Abbassate i toni con Bruxelles”. A cominciare dall’immigrazione, messaggio per Piantedosi e Salvini. A rischio, nell’immediato, c’è la terza rata del Pnrr, i 19 miliardi legati ai 55 target raggiunti nel secondo semestre 2022.

C’era tutto questo – singoli dossier e anche tanta politica – ieri pomeriggio intorno al grande tavolo rotondo che ha ospitato la riunione dei ministri nella Sala al primo piano di palazzo Chigi. Come sempre, è stato più facile affrontare i dossier che la tenuta politica. Sul convitato di pietra Pnrr che è il filo rosso che lega i provvedimenti di ieri ma anche tutta l’azione di governo dei prossimi mesi, il ministro Fitto ha detto in sostanza tre cose: “Il clima con Bruxelles è cambiato, dobbiamo saperlo, non ci fanno più sconti”; per come sono messe le cose “non riusciremo a concludere e realizzare le opere previste dal Piano entro il 2026. Bisogna saperlo, dircelo con chiarezza tutti quanti e lavorare per trovare una soluzione”. Lui, Fitto, ce l’ha pronta: “Entro un mese presenteremo una bonifica del vecchio Piano, quello che possiamo e non possiamo realisticamente fare”. Lo strumento necessario è la flessibilità, l’obiettivo è portare il traguardo dal 2026 (quello attuale) al 2029 sfruttando anche i Fondi di coesione. E’ uno schema da tenere a mente perché sovrintenderà tutte le scelte interne e l’interlocuzione con Bruxelles nei prossimi mesi.

Il filo rosso del Pnrr
Quello forse più svincolato dal contesto Pnrr è il decreto bollette. Necessario perché il 31 marzo decadono le misure dell’ultimo decreto, conferma aiuti (sotto forma del credito di imposta) alle aziende energivore per l‘acquisto di energia elettrica e gas fino al 30 giugno. C’è un giallo però sugli oneri di sistema che potrebbero tornare nel conto delle utenze elettriche e gas. Il Codacons denuncia che qualora gli oneri di sistema sull’elettricità dovessero essere ripristinati interamente, questi peserebbero per circa il 22% sulle bollette degli italiani, portando ad “un rialzo della spesa che vanificherebbe del tutto la riduzione delle tariffe dell’ultimo periodo”.

Misteri che si annidano nelle pieghe dei decreti scritti in modo da non essere compresi alla prima lettura. E neppure alla seconda. Basta aspettare la prossima bolletta. Nel decreto bollette il governo ha inserito norme in aiuto alla sanità (anche penali) che certo però non bastano per risolvere la crisi del sistema pubblico. Nel decreto bollette, diventato una sorta di decreto emergenza per mettere toppe dove serve e dare contentini al corpaccione della propria base elettorale, c’è anche l’ennesimo condono: ulteriore tregua fiscale con un rinvio di tre mesi delle cartelle (dal 30 giugno al 30 settembre).

Un contentino a Bruxelles
In ottica “diamo un contentino alla Ue per vedere se si addolcisce un po’” va letto il disegno di legge sulla concorrenza, un altro di quei testi omnibus che nascono in un modo e spesso alla fine diventano ben altro. Il messaggio a Bruxelles, quello che conta ora, è che non è vero che l’Italia evita le condizioni per una buona e sana concorrenza tanto che approva la legge annuale come prevede il Pnrr e perché raggiuge così un altro target tra quelli previsti sul potenziamento e lo sviluppo della rete elettrica nazionale.

Tra le misure approvate ci sono quelle per l’attuazione del Piano di sviluppo delle rete elettrica di trasmissione nazionale e dei piani per la rete di trasporto del gas naturale, le gare per la concessione degli spazi pubblici agli ambulanti (durata dieci anni “salvaguardando gli interessi degli attuali concessionari e del personale impiegato”), misure per agevolare la diffusione del teleriscaldamento. Salta la norma sulla deregulation dei saldi: il ministro Adolfo Urso ha preso tempo. “Il solito regali ai commercianti e un danno ai piccoli” il commento di Codacons. Ovviamente non c’è nulla di ciò che più interessa Bruxelles sul fronte della concorrenza: la riforma del catasto è finita in soffitta; non pervenuti balneari, taxi e trasporto locale.

Il gran ballo delle semplificazioni
Approvato e subito esecutivo il nuovo codice appalti, 229 articoli e 36 allegati attativi, ispirato, si dice, “a una chiara filosofia antiburocratica”. Il Codice è un milestone (obiettivo) del Pnrr con scadenza 31 marzo. L’operatività vera è prevista a partire dal primo luglio. Il problema qui è uno ma totalizzante e lo ha denunciato il Terzo Polo. Oggi come oggi il titolare di un’azienda che deve partecipare a una gara d’appalto deve fare i conti con il vecchio Codice, quello nuovo, vari decreti semplificazioni e un nuovo decreto in discussione al Senato tagliato apposta per far fronte alle esigenze del Pnrr. «Questa riforma complica anziché semplificare, va nella direzione opposta al decreto in discussione al Senato e questo rischia di far saltare il Pnrr», ha denunciato Raffaella Paita, capogruppo del Terzo Polo al Senato. Difficile dire dove stia la verità. Troppo complicata la materia. Di sicuro le associazioni di categoria non sono soddisfatte. Soprattutto non riescono a fare le gare che spesso vanno deserte. E così tanti cantieri del Pnrr che è in ritardo su tutto.

Ecco che il filo rosso di questa storia torna sempre lì: al Piano che non decolla; a Bruxelles che ha congelato i 19 miliardi della terza rata (secondo semestre ’22) su tre nodi (concessioni portuali, energia e due progetti dei Piani urbani integrati, cioè la bocciatura dei nuovi stadi a Venezia e Firenze; Fitto ha ottenuto un mese di proroga per chiarire); al governo che subito dopo il Cdm ha riunito la cabina di regia sul Pnrr per vedere come fare per non perdere i soldi. Nel dubbio, Giorgia Meloni non ha preso parte alla conferenza stampa. “Anche Salvini la diserta. Si presentano solo Lollobrigida e Schillaci. Il ministro dell’agricoltura magnifica lo stop per legge dei cibi sintetici. Prima di salire in sala polifunzionale incontra una clac organizzata della Coldiretti. Bagno di folla. Come in mattinata Meloni che è salita su un caccia esposto in piazza del Popolo per la festa dell’aeronautica. Il potere della folla. E della propaganda. Che nasconde i problemi”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.