Il passato, il presente, il futuro. Bisogna concentrarsi attentamente su queste tre parole. Sono la chiave per comprendere il mondo verso cui ci stiamo dirigendo, soprattutto in Europa. Vogliamo scordare a tutti i costi il passato che abbiamo vissuto per avere briciole del presente al fine di poter ricordare o far ricordare un futuro. Siamo stretti in una morsa micidiale in cui internet, i sentimenti, i pensieri, le emozioni, i media, il tempo, i social, la passione, il vivere tutto sono costretti in una scatola strettissima, come in un buco nero in cui la massa si comprime e tutto si confonde. Non sappiamo più quanto di quello che facciamo è nostro e quanto invece del mondo virtuale, dell’ansia di futuro dell’essere virtualmente onnipresenti per poter essere il futuro di qualcuno.

Europa tra passato, presente e futuro: su cosa riflettere

Non sappiamo più nulla, viviamo governati da impulsi di cui è difficile rintracciare l’origine e che hanno vita propria: crescono, si sviluppano, rimbalzano, si amplificano, influenzano le nostre vite, soprattutto attraverso i mezzi tecnologici di cui disponiamo. Impulsi il cui contenitore è stato creato ad arte ma, il cui contenuto, siamo noi, o meglio, l’immagine riflessa da mille specchi di noi: come quella che ci appare in un social. Tornando ai tre termini iniziali, è essenziale approfondirli per capire dove ci stiamo dirigendo come europei. Il passato riguarda il mondo dei ricordi. Il presente è ciò che è, un punto nello scorrere del tempo, una tangente a una curva che solo in quel punto potrà essere toccata e in nessun altro. Il presente è l’ansia di dare risposte al passato e al futuro. Ora veniamo al futuro: il futuro è ciò che non è e ciò che non è stato.

Nelle nostre società ed in Europa il futuro è il tema centrale su cui riflettere. Esso può essere interpretato dal punto di vista della paura e della disperazione come ciò che limita l’uomo e lo rende insignificante perché non sa se ne farà mai parte, se lo cambierà e, soprattutto oggi, nelle crisi globali che mettono in pericolo l’umanità intera, se ci sarà. Sempre più ci rendiamo conto che siamo continuo flusso dei tre, e, paradossalmente, pensiamo di essere senza “tempo” di potergli dare senso. Oggi si parla di istantaneismo o di emotivismo: vivere nell’istante o nell’emozione passeggera sperando che il prossimo istante e la prossima emozione passeggera ci diano quella felicità, quel senso, ai quali agognamo. Forse è proprio su questa continua ricerca di senso intellettuale che dovremmo concentrarci come europei. L’Europa, difatti, sembra non solo fisicamente, ma anche intellettualmente, stanca, fiaccata da crisi globali che sembrano distruggere qualsiasi speranza di un futuro comune e un pensiero cartesiano imperante che, per sua stessa natura, si avvita su sé stesso non potendo partorire nulla di innovativo che possa generare speranza.

Il cogito ergo sum, ossia il far dipendere l’essere dalla facoltà di pensare probabilmente andrebbe invertito: sono dunque penso. Subordinare l’essere ad una parte (in questo caso la facoltà di pensare), equivarrebbe a dire, banalizzando, che ho un piede dunque sono. L’umanità occidentale si sta dimenticando “essere umani” è composto da due parole: essere ed umano. Sta dimenticando, in fin dei conti, non solo che l’essere umano è ma anche che esiste. L’essere non dipende dall’esistenza, è l’esistenza che dipende dall’essere. Oggi lo si vuole dimenticare in tutti i modi, forse, come dicevo, fiaccati da crisi, sofferenza, modelli che non funzionano, e ci si sta riuscendo annullando la speranza nell’oblio della disperazione, nelle false promesse dell’istante e dell’emozione fugace o nel nichilismo. Ci si dimentica che noi stessi siamo il presente il passato e il futuro. La nostra mente è una macchina del tempo che risponde all’essere. Siamo dunque pensiamo. Il futuro e dunque l’Europa del futuro siamo noi. Ogni pensiero, sistema etico e struttura sociale, oggi, in cui l’Europa, e direi l’umanità, è posta davanti a sfide enormi, deve costruire, rispettare e garantire un futuro ai viventi, al pianeta e all’Europa stessa: in una parola deve essere generativo.

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Professore universitario, romano, classe 1984. È laureato in Giurisprudenza ed è dottore di ricerca in filosofia del diritto, politica e morale. Ha lavorato per l’UE e per lo European Patent Office. Attualmente svolge attività di consulenza come Policy Officer per le policies europee. Appassionato di filosofia, cerca, nei suoi scritti, di ridare un respiro esistenziale alla quotidianità e alle sfide politiche