L’eurofollia green sull’Ets: una minaccia per i porti italiani
L’Europa impone una nuova tassa al trasporto marittimo: e a farne le spese sarà il porto di Gioia Tauro
Una nuova tassa piomba sul sistema dei trasporti marittimi, a causa di modifica degli Ets, il sistema di scambio di quote di emissioni. “Una tassa che è un delirio autolesionistico che non ridurrà di un grammo l’anidride carbonica emessa”, spiega Raffaella Paita.
Una nuova tassa europea sulle emissioni è piombata contro il lavoro e l’economia italiana. Il 14 luglio la Commissione europea ha adottato il pacchetto climatico “Fit for 55”. Nel testo è stata inserita una modifica degli Ets, il sistema di scambio di quote di emissioni (una sorta di tassa sulla Co2 già applicata alle acciaierie) applicandola anche al trasporto marittimo, segnatamente agli armatori di navi superiori alle 5 mila tonnellate.
Le maxi-navi portacontainer, che in Italia arrivano soprattutto a Gioia Tauro. Il sistema di calcolo prende in considerazione le miglia percorse e le emissioni stimate della nave, poi si applica al 100% se la tratta inizia e finisce in porti europei – ma solo al 50% se uno dei due porti è fuori dall’Ue.
Secondo uno studio realizzato dall’autorità portuale di Gioia Tauro, il porto rischia di chiudere perché – per non pagare la nuova tassa – le compagnie di navigazione sposteranno le navi nei porti africani. In Italia quasi il 28% di tutti i container movimentati e il 77% di quelli trasbordati passano dal porto calabrese, che dà lavoro a quasi seimila lavoratori.
Diego Aponte, presidente di Msc, il principale concessionario di Gioia Tauro e prima compagnia al mondo per il trasporto dei container, ha detto che “è molto pericolosa questa situazione, che ovviamente privilegerà tutti i porti tipo Tangeri e gli scali egiziani e toglierà traffico a scali come Gioia Tauro in Italia, Sines in Portogallo, Pireo in Grecia e tanti altri porti europei”. Con questa tassa Msc avrebbe perdite tra i 150 ed i 200 milioni di euro all’anno.
C’è tempo fino al 18 settembre per proporre modifiche alla norma. Il capo delegazione della Lega al Parlamento Europeo, Marco Campomenosi, è intervenuto immediatamente: “Rischiamo posti di lavoro, centralità e crescita economica, senza influire per davvero sul cambiamento climatico perché i traffici di merci andranno laddove le tutele ambientali sono di gran lunga inferiori che in Europa. Prima che entri in vigore la normativa, nel 2024, la UE faccia marcia indietro, rinunci all’ideologia e premi il buonsenso”.
Dall’opposizione si è schierata anche Raffaella Paita, coordinatrice di Italia Viva: “Con questa norma l’unico risultato sarà quello di danneggiare i porti europei del Mediterraneo, Italia, Portogallo, Spagna, Malta, a favore di quelli del Nord Africa. Se una nave partita dalla Cina – spiega Paita – fa trasbordo a Gioia Tauro prima di arrivare alla destinazione finale nel Nord Europa, si troverà a pagare una tassa maggiore rispetto ad un transito, ad esempio, in Egitto o in Marocco. Un delirio autolesionistico che non ridurrà di un grammo l’anidride carbonica emessa. È giusto tutelare l’ambiente, ma senza distruggere la struttura produttiva italiana e europea”.
Tramutandosi nella perdita di molti posti di lavoro, stranamente si schiera contro anche la Cgil, nonostante i suoi paladini Pd e 5s in Europa fossero a favore della norma: “L’assenza di un regime globale, non solo renderà la misura poco efficace sulla riduzione delle emissioni, ma avvantaggerà gli scali extra Ue come i porti nord africani i quali, non essendo colpiti dai nuovi oneri, finiranno per diventare non solo più inquinanti, ma anche quelli preferiti dalle compagnie marittime. Questo scenario – ha detto il sindacato di Landini – è molto preoccupante perché comporterà la perdita di competitività e di centralità dei nostri scali, a partire da Gioia Tauro con gravi conseguenze dal punto di vista economico, sociale ed occupazionale, senza dimenticare che minerebbe definitivamente anche le potenzialità degli altri porti transhipment come Cagliari e Taranto”.
Esattamente come già accade per acciaio e automotive, tutto il Green deal dell’unione è una perdita di competitività economica dell’Europa rispetto al resto del mondo. Ora che finalmente se ne accorge anche la Cgil, i partiti italiani che siedono in maggioranza a Bruxelles, interverranno a difesa del lavoro contro le eurofollie green o continueranno a occuparsi solo di reddito di cittadinanza e a rincorrere Ultima Generazione?
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