Regna la confusione sotto il pallido sole di York. La sinistra britannica naviga in acque agitate e il consenso quasi plebiscitario che l’ha riportata alla guida del paese sembra già un lontano ricordo. Questa volta i laburisti sbandano su un tema fortemente divisivo come l’eutanasia. Ne dà notizia il Guardian, principale e indiscusso termometro dello stato di salute dei progressisti d’oltremanica. E lo fa con un’intervista scomoda a Gordon Brown, primo ministro laburista dal 2007 al 2010, peraltro non proprio un politico qualunque ma uno dei padri nobili e parte della storia del partito. Brown ha criticato fortemente il progetto di legge che andrà in discussione questo venerdì al Parlamento di Londra.

È denominato Terminally Ill Adults Bill ed è firmato da Kim Leadbeater, sorella di Jo Cox, la deputata uccisa nel 2016 alla vigilia del referendum sulla Brexit. Se approvata, la norma consentirebbe alle persone affette da malattie terminali, purché maggiorenni e con un’aspettativa di vita non superiore ai sei mesi di ricorrere al suicidio assistito. Ovviamente previo esplicito desiderio di compiere questo passo da parte del paziente. L’ex premier ha raccontato al quotidiano l’esperienza toccante del periodo trascorso con la moglie accanto alla figlia gravemente malata in un hospice locale e di come, proprio in quell’occasione abbia constatato come cure mediche sensibili e assistenza infermieristica compassionevole fossero una valida risposta ai bisogni e ai desideri dei pazienti e un sostegno per le famiglie. Più della prospettiva di una scelta definitiva. Nonostante la sofferenza e la consapevolezza di non avere alcuna speranza di alleviare la situazione della figlia, ha dichiarato la sua ferma contrarietà alla necessità del suicidio assistito, quanto, al contrario, del valore e dell’imperativo di avere buone cure per il fine vita. Ma le sue argomentazioni vanno oltre: la legge per quanto ben intenzionata, ha detto ancora Brown, modificherebbe l’atteggiamento della società nei confronti degli anziani, dei malati gravi e delle persone con disabilità, anche se solo in modo subliminale.

La testimonianza di Brown è un tuffo immediato nella realtà che risulta più efficace e comprensibile di qualsiasi ragionamento astratto e di qualunque tatticismo politico. Peraltro, la sua è una posizione che non arriva da uno coriaceo e sordo reazionario, e per questo è in controtendenza sorprendente rispetto a una sensibilità del mondo progressista britannico che ha sempre guardato con favore ad una regolamentazione positiva del suicidio assistito. Inoltre, ci ricorda che questo tema appartiene ad una sfera decisionale che va oltre la politica, di fronte alla quale anche il “serrate i ranghi” di partito si rivela insufficiente. Con buona probabilità la legge passerà visti i numeri della maggioranza. Ma, nonostante sia al governo da pochi mesi, questi scricchiolii sono un campanello d’allarme su una fragilità interna sui temi etici che rischia di impantanare l’azione politica dei laburisti. Per mantenere il consenso si rischia di inseguire la pancia degli elettori su altri fronti, come nel caso delle misure contro l’immigrazione irregolare, ma si perde di vista l’urgenza di impostare un’agenda di governo credibile.

E sul tema del fine vita l’Italia non è da meno: per la seconda volta, dopo il Veneto, anche una seconda regione, la Lombardia, ha bocciato la proposta di una legge regionale per regolamentare il cosiddetto suicidio assistito, accogliendo la pregiudiziale di costituzionalità che di fatto affossa l’iniziativa. Marco Cappato e l’Associazione Coscioni, promotori dell’iniziativa, hanno mostrato il loro evidente scontento di fronte all’ulteriore decisione negativa di un parlamento regionale che, di fatto, si è dichiarato incompetente a normare ciò che il Servizio sanitario regionale già è tenuto a rispettare in base alla sentenza della Corte costituzionale Cappato-Dj Fabo e parla di un atto di irresponsabilità nei confronti delle persone malate e dei medici, privati di ogni garanzia sui tempi e sulle modalità per chiedere e ottenere l’aiuto alla morte volontaria.

Questo episodio conferma come la politica sia ovunque in difficoltà nell’affrontare e farsi carico di un tema così delicato. Ma garantire al malato e a chi gli è vicino una concreta dignità rimane un altro modo per parlare di giustizia e per affermare un principio di democrazia, laicità e libertà che dovrebbe essere capace di mettere d’accordo in modo bipartisan chi ha a cuore la vita concreta delle persone.