Parla l’ex vicepresidente del Csm
L’ex numero 2 del Csm Verde attacca i Pm: “Hanno troppo potere, serve una legge ad hoc”

«Non c’è attività umana che non abbia controindicazioni e, paradossalmente, il rischio è la molla che spinge a osare e senza la quale si avrebbe la mediocre stagnazione. Questa è la situazione dell’Italia oggi, che da anni non cresce, in tutti i sensi, e sembra destinata ad un inarrestabile declino. Le riflessioni che ho condensato nel mio recente libro Giustizia, politica, democrazia – Viaggio nel Paese e nella Costituzione, nascono dalla convinzione – non vado oltre il mio campo, essendomi da sempre occupato di giustizia e di processo – che ciò che avviene è in qualche modo collegato al nostro sistema di giustizia». Il professor Giovanni Verde, giurista, tra i massimi esperti di processo civile, già vicepresidente del Csm, avvocato, docente universitario e per dodici anni magistrato, accetta di fare con il Riformista una riflessione sullo stato attuale della giustizia.
«Il nostro sistema è afflitto da panpenalismo che, insieme con l’estensione incontrollabile della burocrazia, è il prodotto deteriore del giustizialismo. Purtroppo non abbiamo rimedi, se non riusciamo a correggere la nostra cultura, fondata sul sospetto e sulla sfiducia. E siamo destinati a perdere nella competizione con Paesi che hanno opposti punti di partenza». La cultura del sospetto, negli anni, ha alimentato il groviglio di norme che spesso paralizza le decisioni della pubblica amministrazione e rende biblici i tempi del processo. «Al lettore chiedo se si è mai interrogato su che cosa pensino della nostra giustizia gli altri Paesi, avendo appreso che spesso le nostre sentenze di condanna in materia penale sono annullate in appello o cassate dalla Suprema Corte perché il fatto non sussiste o non è stato commesso. Lo straniero si chiederà: “Ma come è possibile una condanna, se anche la vostra Corte suprema insegna che si può condannare soltanto oltre ogni ragionevole dubbio”? È evidente – ci direbbe – che i vostri giudici condannano anche in caso di dubbio e che, pertanto, si pongono fuori dalla Costituzione, se è esatto che nell’articolo 27 è implicita la presunzione d’innocenza».
«Il nostro processo similaccusatorio – continua Verde – deve fare i conti con il giustizialismo che ci appartiene e che è latente nella stessa nostra Carta fondamentale che – unica o tra le poche al mondo – prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. Questa è, sul piano logico, un ossimoro e, nella realtà, un’ipocrisia. Su di una contraddizione logica e su di un’ipocrisia regge l’impalcatura che ha dato ai pm un potere immenso. Le Procure sono oggi altrettanti “grandi fratelli” che penetrano, senza limite, nelle nostre vite private». Qual è il loro peso? «Le attuali vicende del Csm rendono chiaro che il problema è lì: nelle Procure. È in atto un’operazione di oscuramento o di depistaggio tendente a fare credere che il problema sia quello delle nomine e della carriera dei magistrati, da risolvere con un’ennesima (e inutile) riforma della legge con cui si eleggono i consiglieri del Csm. Non è così. Il problema delle nomine e della carriera non interessa il cittadino, che vuole giustizia rapida, prevedibile e ragionevole. Oggi vi è una sovraesposizione del potere inquirente sugli altri poteri dello Stato».
Quali soluzioni sono possibili? «Il ministro attuale, così come quelli passati, pensa che i problemi possano essere superati lasciando fermo l’attuale contesto e modificando regole, riti e procedure. Così avviene che il tema della prescrizione dei reati diventi divisivo (mentre è un non problema: dopo venti anni la condanna si trasforma in vendetta). Il ministro chiama esperti – scegliendoli tra magistrati e teorici – che in un mese dovrebbero dare consigli appropriati. Il tema richiederebbe, piuttosto, oltre che tempo adeguato, la sensibilità del cittadino e il coraggio di affrontare il male là dove ne sono le cause. Si cura la febbre, mai la malattia».
«Dal mio libro – aggiunge Verde – è possibile enucleare non poche proposte. Ne ricordo qualcuna: distinguere nell’ordinamento giudiziario lo “status” del giudice da quello del pm; scrivere una legge sulla responsabilità disciplinare del pm diversa da quella per i giudici; fare lo stesso per la legge sulla responsabilità civile; valorizzare la capacità del giudice di organizzare il processo, sanzionando l’attuale prassi per la quale il giudice studia sul serio il processo soltanto quando deve decidere (un’altissima percentuale di processi si allunga nel tempo perché non sono gestiti correttamente); introdurre filtri tesi a limitare il ricorso per Cassazione per controversie bagatellari; riesaminare il mito del doppio grado, anche perché l’attuale appello civile è un brutto doppione del giudizio di legittimità. Potrei continuare. Ma a chi parlo? A chi crede di risolvere i problemi allungando la prescrizione dei reati o costruendo modellini processuali? Auguri».
© Riproduzione riservata