Il New Labour di Keir Starmer, riedizione di quello di Tony Blair, torna a vincere in UK. E a vincere bene. La notizia, di per sé attesa e largamente prevista, si staglia su un contesto in cui riformisti, liberaldemocratici e moderati stanno arretrando e quasi scomparendo in tutta Europa, come dimostrano gli esiti elettorali in Italia e in Francia. Questo voto dimostra che Yes, we can. Si può fare. Si può e dunque si deve fare: si può tornare a vincere, cambiando le vecchie logiche della sinistra e ringiovanendo le idee e le dinamiche della vecchia politica. Si può essere sfidanti, invertendo la tendenza autoconservativa di quei vecchi progressisti che somigliano tanto ai nuovi conservatori, in quella sfumatura di rossobruno che rende indistinguibili le ali estreme, gli opposti radicalismi. Riabbracciare l’Europa, investire nel lavoro che cambia, innovare, semplificare, detassare: il programma con cui ha vinto Starmer è un autentico manifesto riformista.

Ce l’hanno fatta i laburisti, possono farcela i democratici americani

Questo risultato sconfessa la prospettiva vittimista di qualche commentatore, tra i nostri centristi, che vede nero e indica nello zeitgeist brutto e cattivo un invincibile nemico. Sbaglia. Ce l’hanno fatta i laburisti, nel Regno Unito. E potrebbero riservare sorprese, cambiando cavallo in corsa, anche i democratici americani: pochi giorni fa, alla vigilia del dibattito di Atlanta, i dem a stelle e strisce erano dati in vantaggio nei sondaggi. Anche perché mentre Trump parla di hamburgher e fucili, i dem parlano del nucleare di quarta e quinta generazione, di difesa dello spazio con le costellazioni satellitari, di moltiplicare le opportunità di lavoro con l’AI, a partire dalla ricerca farmacologica e sanitaria.

In Italia tutt’altra dimensione

E mentre il mondo tenta il tutto per tutto, nella scommessa su un futuro a guida riformista, da noi in Italia il dibattito marcisce in tutt’altra dimensione. Ombelicale. Piccola. Umiliante. Come nei teatrini delle marionette, dove Pulcinella e il Diavoletto si prendono continuamente a vicendevoli bastonate, Renzi e Calenda si rimpallano la responsabilità di non aver superato il 4%. Si ragiona sulla mancata candidatura di Renzi anche nel Nord Est. «Avrebbe aiutato». E dell’opportunità di questo o quel capolista, in Azione. Disamine da gastroenterologi.

Renziani, renzomani, renzisti

Chi dedica, come questo giornale, la sua attenzione ai temi della politica, deve distinguere e distinguersi. Analizzare i fenomeni della politica, i leader e la loro fan base. Partendo dal rispetto per i renziani: quelli che seguono Renzi sin da quando era il giovane rottamatore del Pd e lo stimano, pur riservando qualche perplessità, esplicitata per lo più lontani dai social. E però li distinguiamo dai renzomani, che sono dipendenti, a livello di addiction psicofisica, da Renzi. Il renzomane si nutre del Capo, intellettualmente: lo ascolta, lo legge e se lo riguarda ogni giorno. Lo commenta in rete. Si mette in fila per un selfie. «Fatevi vedere da uno bravo», non manca di ironizzare con loro lo stesso Renzi alla Leopolda. Qualcuno di noi ne conta anche nella cerchia famigliare: vanno accompagnati nel processo di elaborazione nel passaggio a un’altra fase. La passione per la politica si sposa con la fiducia in un leader capace, brillante, assertivo: ma non può esaurirsi nella sua esegesi. E qui emerge una terza categoria. Quella dei renzisti: coloro che apprezzano l’intelligenza politica del leader di Iv, la sua unicità, le sue peculiarità. E però ne vedono chiaramente i limiti e le criticità. Ci sono centinaia di addetti ai lavori della politica e tantissimi giornalisti, tra loro, e noi per primi. Sono quelli che con Renzi hanno più contatto e maggiore prossimità con le dinamiche della politica. E forse anche per questo hanno la speranza che Renzi possa contribuire, da vero leader ma con un ruolo diverso, a reinventare, reingegnerizzare un grande progetto per i riformisti italiani, capace di tornare a volare alto come i laburisti inglesi hanno dimostrato di poter fare.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.