L’invasione del Libano non è un affare semplice per Israele. Per molti comandanti in servizio, ma anche per tanti militari in pensione, è ancora vivo il ricordo del 2006, quando Hezbollah riuscì a fermare l’avanzata delle Israel defense forces. Ma quelli più anziani non hanno dimenticato neanche le difficoltà del 1978 e del 1982. Precedenti fondamentali per capire le mosse israeliane di oggi. Per capire perché il governo israeliano ha deciso di intervenire su più fasi: prima con i raid contro depositi di armi e le postazioni di lancio dei missili, poi con l’operazione sui cercapersone, poi i bombardamenti che hanno decapitato la catena di comando di Hezbollah.

Il bilancio dell’esercito israeliano

Ma nonostante queste mosse preparatorie, nonostante i blitz delle forze speciali e un’intelligence capace di mappare in modo dettagliato gli avamposti del Partito di Dio, l’operazione in Libano si è già rivelata complicata. Ieri, l’esercito israeliano ha comunicato un primo tragico bilancio di otto morti tra i suoi soldati nell’arco di 24 ore. Caduti giovanissimi, tutti tra i 21 e i 23 anni. E questo numero fa comprendere quanto siano duri gli scontri che stanno avvenendo in queste ore. “Siamo nel mezzo di una dura guerra contro l’asse del male dell’Iran, che cerca di distruggerci. Questo non accadrà”, ha detto Benjamin Netanyahu, “perché saremo uniti e, con l’aiuto di Dio, vinceremo insieme”. “Vorrei inviare le mie più sentite condoglianze alle famiglie dei nostri eroi caduti oggi in Libano, che Dio li vendichi e che il loro ricordo sia una benedizione”, ha continuato Netanyahu. Ma il capo del governo è consapevole che la campagna militare contro Hezbollah non è semplice, e anzi, per le Tsahal può rivelarsi un pericoloso pantano strategico.

La preoccupazione di Beirut

Solo ieri, i miliziani sciiti del Libano hanno detto di avere distrutto tre carri armati israeliani nella città di Maroun el-Ras, al confine tra i due Paesi. E l’impressione è che il Partito di Dio, orfano di Hassan Nasrallah e già piegato da settimane di intensi bombardamenti e attacchi chirurgici, non si ritirerà facilmente dal sud del Libano. Il governo di Beirut è molto preoccupato. La situazione può sfuggire completamente di mano, e al momento l’unica certezza è la volontà israeliana di mettere in sicurezza il nord dello Stato ebraico allontanando Hezbollah almeno oltre il fiume Litani. Una sorta di barriera che per Netanyahu e i suoi comandanti è l’obiettivo fondamentale di questa campagna terrestre.

Gli appelli

Ieri, il primo ministro libanese Najib Mikati ha lanciato ancora una volta l’allarme sugli sfollati, che dall’inizio dell’escalation sono diventati 1,2 milioni. E il capo del governo libanese ha ribadito “la necessità di un cessate il fuoco immediato, dell’implementazione immediata della Risoluzione 1701, dell’invio dell’esercito libanese al sud del fiume Litani e del coordinamento con Unifil”. La speranza di Beirut è che si arrivi il prima possibile a un accordo, ma è difficile prevedere tutti gli scenari, anche sulla stessa presenza di Unifil. Al momento, i caschi blu (tra cui 1200 italiani) rimangono nelle proprie basi in attesa che la situazione possa permettere di riprendere i propri normali compiti. Ma tra le cancellerie occidentali e il Palazzo di Vetro si parla con sempre maggiore insistenza di un necessario rafforzamento e un cambio di passo della missione. Il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ieri è stato dichiarato da Israele “persona non grata” con pesanti accuse del ministro degli Esteri Israel Katz, ha detto che “Unifil continuerà a restare in Libano e la bandiera delle Nazioni Unite continuerà a sventolare nonostante le richieste di Israele di una ricollocazione”.

Nessun eccesso di sicurezza

Ma l’incendio che in queste ore dilaga in Medio Oriente non permette eccessi di sicurezza. L’Idf continua a combattere nella Striscia di Gaza, contro quella Hamas che ieri ha rivendicato l’attentato di Jaffa in cui sono morte sette persone alla stazione della metro. Combatte sul fronte nord, fronte che oltre il Libano include anche la Siria, dove ieri è stata colpita Damasco. E adesso l’attesa è rivolta a come Israele risponderà al lancio dei missili da parte dell’Iran. La sera dell’attacco, il governo israeliano ha avuto ancora una volta la conferma che Stati Uniti e Regno Unito sono impegnate attivamente nel difendere i cieli del Paese.

Il ruolo di Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti

Ma Israele può ormai contare in modo abbastanza netto anche su Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Per molti esperti, la risposta di Netanyahu ai missili di Teheran sarà plateale, probabilmente diretta a impianti petroliferi o siti strategici. Qualcuno pensa addirittura a uno strike contro i siti del programma nucleare degli ayatollah, in particolare contro la centrale di Natanz. Anche se Joe Biden ha già detto ieri che la sua amministrazione non sarebbe d’accordo. E ieri il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi è stato chiaro: “Abbiamo la capacità di raggiungere e colpire ogni luogo del Medio Oriente. E quei nostri nemici che non lo hanno ancora capito, lo capiranno presto”.