Da Milano una buona notizia: è partito il “viaggio per l’unità dei liberaldemocratici” con due giornate di confronto per un programma riformista e sull’ipotesi di fondare un nuovo soggetto politico, anzi un “partito”. Un viaggio richiede, prima di essere intrapreso, un attento studio delle condizioni di partenza e un’attrezzatura adeguata alla difficoltà del traguardo che si vuole raggiungere. Il fallimento del noto Terzo Polo deve rendere prudente ogni passo che si vuole fare durante il percorso. Per prendere la direzione giusta c’è tutto quello che serve per interpretare il punto di partenza, e cioè il presente: più complessa è la ricerca della via d’uscita verso il futuro.

Lo squilibrio

Non è con le culture dell’Ottocento o con le ideologie del Novecento, con la riproposizione di vecchie gloriose bandiere, che si possono risolvere i problemi che abbiamo di fronte. Con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dei regimi comunisti si è celebrata la superiorità del sistema capitalistico e si è affermata l’idea che il mercato, solo e senza regole, fosse in grado di garantire un indefinito sviluppo e una ricchezza diffusa. La realtà nella quale siamo ci dice un’altra cosa: 20 anni di globalizzazione e di liberismo, invece di darci un mercato sano ed equilibrato, hanno determinato uno squilibrio ancora più forte.

La Rete ha innescato un processo che ha messo in discussione il primato della classe dirigente, minando alla radice il valore delle élite, intellettuali e politiche, “creando” un nuovo protagonista: il leader, padre-padrone capace di sfornare una ricetta per ogni problema coerente con l’appetito “culturale” dei suoi follower. In definitiva si è garantito il potere di “fare politica” a uno solo e al suo “cerchio” (più o meno magico) negando ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, con il solo risultato di “umiliare” il lavoro parlamentare e di mettere nelle mani del governo con la decretazione anche il potere legislativo. Da qui al “premierato” il passo è breve.

La nuova strada

Quale strada intraprendere per fermare questa deriva? Se non è una buona idea tornare a “come eravamo”, non è altrettanto accettabile la condizione attuale. Dalla transizione dobbiamo uscire nella prospettiva di una diversa configurazione della società e del potere politico e istituzionale. Ci vuole, ha scritto Luigi Marattin nel suo Missione Possibile, “un progetto politico-culturale in grado di rimuovere le radici del problema italiano”. Ma ha avuto l’accortezza di aggiungere che “serve anche altro”. Ci vuole una politica della città. Una politica della produzione. Una politica della solidarietà. Una politica dell’istruzione. Ma soprattutto un progetto riformatore.

Si deve cambiare tutto quello che non funziona a partire dall’assetto dello Stato, rompere la rete clientelare che ha reso dannoso il sistema delle Regioni (fonte di sprechi per l’inutile miriade di enti a partecipazione pubblica). Le Regioni vanno riaggregate per macro aree accentrando le funzioni politiche e programmatiche, consentendo una reale interlocuzione con l’Europa. È utile recuperare la dimensione provinciale, istituire più aree metropolitane con relative competenze e obbligare il riaccorpamento delle competenze amministrative a livello di aggregati comunali, che consentano l’esercizio delle funzioni tecnico amministrative. Con lo stesso coraggio bisogna riportare al centro le competenze in materia sanitaria e recuperare risorse attraverso una politica fiscale, capace di far pagare le tasse sui redditi prodotti sul territorio attraverso una tassazione equa sui patrimoni mobiliari e immobiliari. Oltre alle famose piattaforme per le quali, spesso in modo inconsapevole, lavoriamo e costruiamo grandi profitti.

Il progetto umanista

E via di questo passo fino a fondare una politica capace di riportare umanità e convivialità nelle nostre esistenze. Un progetto umanista che liberi i cittadini dalla paura: di non essere curati se malati; di non avere fonti di sostentamento per il venir meno delle possibilità di lavoro; di avere il supporto dei servizi sociali pubblici; di possibili violenze contro la persona e i beni; di garanzia di sicurezza pubblica e privata. Ciò presuppone la spinta a una nuova socialità, socialista e cristiana, quale premessa necessaria affinché ciascuno senta l’appartenenza alla propria comunità.

Il Coraggio di partire, bel titolo della prima manifestazione nazionale di questo cantiere, ha consegnato ai nuovi e vecchi pellegrini un programma ricco di idee. Per fronteggiare le forze regressive che hanno investito la nostra società e minano il percorso ci vuole la scelta coraggiosa della speranza della lotta iniziale. Se i viaggiatori saranno capaci di essere sé stessi in relazione con gli altri – senza lasciare nessuno indietro – di favorire la solidarietà, di agire con responsabilità, il gruppo che parte si potrà arricchire lungo il cammino di quanti vorranno raccogliere la sfida. Poco importa da dove vengono, sotto quale bandiera hanno militato. Perché quello che conta è il “coraggio di partire” per restaurare la speranza. Non un sogno, ma una “lotta”.

Giampaolo Sodano

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