Cesare Beccaria avvisava che «il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali». Escludeva cioè la possibilità che la giustizia si facesse vendetta e lo faceva definendo il reo un “essere sensibile” dotato di coscienza. L’uomo punisce, ma non umilia il reo. Una visione intimista dell’uomo e della giustizia. Anche Benedetto Croce ricordava ai liberali che pur volendo, non potevano non dirsi cristiani ponendo così fine alla sterile contrapposizione tra libertà e fede, basata sul riconoscimento del cristianesimo come di un evento rivoluzionario. Sul cristianesimo, il filosofo partenopeo scriveva: «Operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità».

Croce, in sostanza, riconosceva che la libertà della coscienza rappresenta un autentico baluardo alla tirannide perché proprio nella manipolazione della coscienza individuale si realizza il massimo dell’oppressione. Il tema è ancora oggi molto attuale in ragione della moltiplicazione dei centri di manipolazione delle coscienze (social, radio, tv, nuovi media) che agiscono apertamente o in modo occulto nella dimensione mediale e politica. Vigilare sul possibile ripresentarsi della tirannide diventa un obbligo intellettuale e morale. E senza dubbio, il garantismo rappresenta un argine contro ogni forma di tirannide. Se questo è vero, è possibile allora porsi la seguente domanda: i cristiani e i cattolici, proprio loro che sono influenzati dall’insegnamento del Nazareno e che considerano la giustizia come misericordia, possono non dirsi garantisti?

Il garantismo è il prodotto originale del pensiero liberale, il suo contributo alla civilizzazione della società fondato proprio sul rispetto dei diritti e della libertà di ogni individuo, di ogni persona. Eppure, in occasione del Venerdì Santo, la Chiesa cattolica e il Papa hanno voluto riaffermare, ed è avvenuto in modo eclatante, che al fondamento della nostra civiltà (possiamo dire dal 313 d.c, cioé dall’editto di Milano voluto dall’imperatore Costantino), il cristianesimo ha posto la necessità che in conseguenza di un reato non si debba cercare vendetta ma si debba, ma al contrario garantire che un giusto processo eviti la condanna di un innocente. In ricordo dell’ingiusto processo subito da Gesù, è risuonato potente il monito del Papa contro ogni decisione giudiziaria ingiusta. La civiltà occidentale si fonda sulla misericordia e sul rispetto dei diritti degli imputati. Senza misericordia e processo giusto si sprofonda nella barbarie dove la coscienza e la persona possono essere annichilite dalla forza del potere. Il paradosso è che lo Stato pur essendo democratico può tuttavia calpestare in nome della maggioranza, i diritti dei singoli.

Lo Stato per essere la casa di tutti deve essere uno stato di diritto e non uno Stato etico! Il messaggio di civiltà, l’appello alla umanità e al diritto giusto, risuonati come non mai a Piazza San Pietro, sembrano però essere caduti nel vuoto. Il silenzio assordante che ha accompagnato il messaggio papale è stato sconcertante. Né la politica italiana, né i media ne hanno tratto elementi di riflessione che potessero aiutare a ben operare nel campo della giustizia, sottraendola alla barbarie della “vendetta”, della Nemesi dove la forma della maggioranza sopprime le garanzie individuali. La lezione di Croce e la potente parola del Vicario di Cristo sembrano incontrarsi sul comune intento di creare una società a misura d’uomo che punisca e riabiliti, piuttosto che vendicarsi e annichilire la speranza. Si tratta di un’inedita alleanza tra liberali e cristiani, non credenti e cattolici che in nome della misericordia e del garantismo, scelga senza esitazioni la pratica della giustizia giusta. Se ne avvantaggerebbero la nostra società, il diritto e ciascuno di noi.