Come festeggiare il 25 aprile
Liberazione: casa degli ucraini e del Medio Oriente pacifico
Facciamo in modo che il 25 aprile non sia luogo di divisioni, esclusioni, settarismi ed estremismi che ne tradirebbero il significato
Caro direttore,
è particolarmente delicato, questo 25 aprile. Anche per noi antifascisti. Questa giornata cade nel pieno dell’azione del governo di questa destra. Sappiamo tutti di che si parla. La vicenda Scurati è la punta dell’iceberg.
Gli esponenti che provengono dai partiti che ebbero le loro radici nel fascismo, nella Repubblica di Salò, che mantengono la fiamma nel simbolo non riescono a dire una frase semplice, definitiva: “Giuriamo sulla Costituzione perché ci riconosciamo senza riserve nei suoi principi, perché siamo democratici e quindi antifascisti”.
No, a partire da Giorgia Meloni non riescono. Non perché siano fascisti. Ma neanche antifascisti. Non vogliono rompere con quei bacini elettorali che squadernano saluti romani alle “commemorazioni”.
E non solo saluti: è uscito un nuovo libro di Paolo Berizzi sulla galassia neonazifascista che è un documento allarmante. C’è chi ammicca a certi esibizionismi che vediamo ogni giorno in giro per l’Italia, dalle curve degli stadi agli ingressi delle scuole.
Potremmo continuare con certe esternazioni della seconda carica dello Stato, La Russa. Di qualche ministro come Lollobrigida, di qualche esponente della “generazione Atreju”, che poi è il nome della generazione Colle Oppio. Insomma, non servono molte parole per dire – senza gridare “al lupo” – che ci sono anche rischi di torsioni autoritarie in questo Paese.
Al di là e oltre i saluti romani, ci sono i fastidi per ogni forma di controllo, per i poteri indipendenti, per l’informazione e il giornalismo d’inchiesta. Per le manifestazioni di dissenso, che spesso trovano la risposta del manganello invece di quella del confronto e del dialogo.
Senza drammatizzare oltre il dovuto, dunque, è giusto esprimere preoccupazione. Ed è giusto, quindi, che anche le giornate di simbolo e di identità nazionale come il 25 Aprile servano a rilanciare e rafforzare i valori dell’antifascismo, della Costituzione e della democrazia (in crisi e sotto attacco in Europa, in tante parti di un mondo che può esplodere).
E il giorno migliore sarà quando l’intero Paese, insieme, festeggerà senza ipocrisie questa giornata. Del resto, se la Meloni sta a Palazzo Chigi, è perché ha vinto le elezioni, perché in Italia c’è quella democrazia riconquistata il 25 aprile 1945.
Ma proprio per questo chi crede in questa data deve far sì che questa giornata serva a rafforzare, a unire e non dividere il Paese, a partire da tutti coloro che si riconoscono nella Resistenza e nella Costituzione.
La Guerra partigiana fu condotta (anche con gli Alleati e le loro armi) da comunisti, socialisti, popolari cattolici, azionisti, repubblicani, liberali, monarchici. Da militari che non vollero aderire alla Repubblica di Salò. Nella Resistenza c’erano le Brigate Ebraiche. Ecco perché i cortei e le manifestazioni di questa giornata devono essere, come si dice, pienamente inclusivi.
I cortei sono la casa di chi oggi si batte per i valori antifascisti in Italia e in Europa. Di chi chiede il cessate il fuoco nel Medio Oriente e il diritto ad esistere di uno Stato Palestinese libero da Hamas e di uno Stato israeliano che possa vivere in sicurezza, democrazia e senza gli estremismi inaccettabili dell’attuale Governo. Ma per pulsioni antisemite non può esserci posto.
I cortei e le manifestazioni del 25 aprile sono la casa delle ucraine e degli ucraini che sono in Italia, che chiedono rispetto e libertà per il loro Paese, colpito dalla criminale aggressione imperialista di Putin. Sono la casa dei figli e dei nipoti di quei partigiani di ogni ispirazione politico- culturale che andarono in montagna per la libertà di tutti.
E, come dicevo, di chi sfila sotto le bandiere di formazioni che la Resistenza la fecero davvero, come appunto la Brigata Ebraica. E di quei – purtroppo ormai pochi – sopravvissuti dai lager nazisti, che portano sull’avambraccio ancora impresso quell’incancellabile numero.
E dei loro figli e nipoti delle Comunità ebraiche che le ferite di quel genocidio portano ancora con sé, e che temono la recrudescenza antisemita, da qualsiasi parte venga. E, infine, di chi crede nei valori europeisti, nei principi dell’Europa dei diritti sociali e civili, dei diritti umani e delle garanzie di una democrazia liberale, che avranno un fondamentale banco di prova nelle prossime elezioni. Ecco, facciamo in modo che il 25 aprile sia questo, che non sia luogo di divisioni, esclusioni, settarismi ed estremismi che ne tradirebbero il significato.
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