La risposta di Vladimir Putin alle offerte di Donald Trump e alle pressioni su Volodymyr Zelensky è arrivata ieri all’alba. Un raid contro Kyiv che ha provocato la morte di 12 persone e il ferimento di altre 90. Un bagno di sangue che, per il ministero della Difesa russo, è stato il frutto di un attacco contro imprese legate al complesso militare-industriale ucraino. Ma che, per il governo di Kyiv, è l’ennesimo colpo al cuore dell’Ucraina, al punto che Zelensky ha dovuto accorciare i tempi della visita in Sudafrica per rientrare subito nella sua capitale.

“Vladimir, fermati”

La tensione si percepisce anche dalle parole del presidente degli Stati Uniti. Trump ha scommesso tutto sul negoziato per arrivare a una tregua e alla pace definitiva tra Russia e Ucraina. Ma le trattative non vanno come previsto e la frustrazione di Washington si evince dalle parole di The Donald. Prima, ai giornalisti, il presidente Usa ha detto che pensava “che fosse più facile trattare con Zelensky”. Poi, dopo l’attacco di ieri notte, sul social ha condannato il bombardamento rivolgendosi direttamente al leader russo. “Non sono contento degli attacchi russi su Kiev. Non sono necessari e nel momento sbagliato. Vladimir, fermati! Ogni settimana muoiono 5000 soldati. Concludiamo l’accordo di pace!” ha scritto il tycoon. E le parole di Trump, che si rivolge a Putin, sintetizzano in parte dinamiche di questo negoziato.

Il “no” di Zelensky a Trump

Il forfait del segretario di Stato americano, Marco Rubio, al vertice di Londra di mercoledì, è stata la prova di come la Casa Bianca abbia voluto declassare l’incontro. All’inizio erano previsti gli interventi di Rubio, di Steve Witkoff, dell’altro inviato Usa, Keith Kellogg, e dei ministri degli Esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna. Il summit si è poi svolto in formato minore. E se Zelensky ha voluto comunque ribadire il buon esito dell’incontro, definendolo “non facile” ma “costruttivo”, è chiaro che, dopo Parigi, tutti si aspettavano qualcosa di concreto. Il problema però è tutto racchiuso in un “no”: quello che Zelensky ha detto a Trump riguardo la sua ultima proposta sulla Crimea (apprezzata pubblicamente dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov). Il governo ucraino non può accettare l’annessione della penisola del Mar Nero alla Russia. E non può farlo anche perché finora dalla Casa Bianca non è arrivato alcun tipo di garanzia sulla futura sicurezza del Paese invaso.

A Washington hanno anche chiuso definitivamente a qualsiasi futura adesione dell’Ucraina alla Nato. E dal momento che Zelensky ha ammesso che non sono stati discussi nemmeno degli accordi sulla semplice (ma vitale) difesa antiaerea, tutto sembra orientato verso un accordo favorevole a Putin. Tuttavia, come riportato ieri da Bloomberg, gli Stati Uniti chiederanno a Mosca di accettare il diritto dell’Ucraina ad avere il proprio esercito e un’industria della difesa, nell’ambito dell’accordo di pace. A queste richieste si aggiungerebbe poi anche la restituzione della centrale nucleare di Zaporizhzhia a Kiev. L’Europa intanto resta dalla parte ucraina. Ieri, il portavoce della Commissione europea, Guillaume Mercier, ha ribadito che la posizione di Bruxelles è quella che deve essere “l’Ucraina a decidere le condizioni effettive della pace”. “Niente sull’Ucraina senza l’Ucraina, e nulla sull’Ue senza l’Ue. Sostenere l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina è fondamentale”, ha detto il funzionario europeo. Ma a Kyiv serve Washington. E l’interesse di Washington appare diverso. Trump vuole un accordo e sta facendo pressioni soprattutto su Zelensky.

Le trattative

Il primo step è l’intesa sui minerali ucraini, su cui è tornato anche il segretario al Tesoro, Scott Bessent, fresco di un incontro a Washington con il premier di Kyiv, Denys Shmyhal. Le trattative proseguono, con l’obiettivo di chiudere già nelle prossime ore. Ma intanto la Casa Bianca cerca anche di blindare l’accordo con il Cremlino, su cui Trump ormai appare sicuro. Ieri il capo dell’intelligence estera russa, Sergei Naryshkin, ha avuto un colloquio telefonico con il capo della Cia, John Ratcliffe, annunciando la possibilità di un incontro. Trump si è detto possibilista su un vertice con Putin: faccia a faccia che, secondo il tycoon, potrebbe avvenire anche dopo il viaggio del presidente Usa in Medio Oriente, previsto dal 13 al 16 maggio. Al Cremlino attendono di vedere gli sviluppi. Ma intanto è tornato a parlare il segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale russo, Serghei Shoigu, che ha inviato segnali chiari.

La Russia è pronta a un cessate il fuoco che dovrà tenere conto della “realtà” sul terreno, ha detto l’ex ministro della Difesa. E il fedelissimo di Putin ha anche lanciato un pesante avvertimento. La missione dei “volenterosi” nei “territori storici russi” (come Mosca considera l’Ucraina meridionale e orientale) “rischia di portare a un confronto diretto fra la Nato e la Russia o anche provocare la terza guerra mondiale”, ha detto Shoigu. E in caso di aggressione o di minaccia, Mosca “si riserva il diritto di usare armi nucleari”.