“Con quella faccia un po’ così/ quell’espressione un po’ così/che abbiamo noi/ mentre guardiamo Genova” scriveva l’immenso Paolo Conte cantato da un commovente Bruno Lauzi. Era “Genova per noi” una canzone piena di poesia che raccontava, una cinquantina d’anni fa, di pellegrini dell’entroterra ligure con lo sguardo illuminato e perplesso al cospetto della munificente Genova.

Quella sconfitta per un punto e mezzo

Quell’espressione un po’ così è, dopo la sconfitta per un punto e mezzo, incollata sulla faccia di Elly Schlein e della coalizione di sinistra/sinistra alle regionali liguri. E in qualche modo si fa cartolina illustrata, con tanto di Lanterna a guida dei naviganti, dello stato dell’arte della politica italiana oggi e di quello che potrebbe essere ancora nel prossimo futuro, sic stantibus rebus. La foto è di una chiarezza abbacinante anche perché stampa il fotogramma aggiornato di una storia che si ripete, solo con qualche ritocco, da un paio d’anni a questa parte: la sinistra, per quanto possa ingrandirsi il PD, da sola non ce la fa a superare il centro-destra, gli elettori scappano dalle urne con foga allarmante (il 54,1% non è andato a votare in Liguria), non si vedono in giro neanche più i pulviscoli del centro/centro.

Lo stato di salute della democrazia

A guardarci dentro si tratta di tre situazioni collegate, anzi, diremmo addirittura generate l’una dall’altra, che concorrono ad alterare significativamente lo stato di salute della democrazia rappresentativa nel nostro paese. Cominciando dalla partecipazione: a parte l’evidenza più nota per cui se a votare va meno della metà degli aventi diritto non solo chi viene eletto s’impoverisce politicamente, ma viene stravolto completamente l’assetto della rappresentanza, pur senza menomarne la legittimità giuridica, c’è dell’altro ed è parecchio.

Le urne deserte

Infatti la diserzione delle urne non è solo la sconfitta di una classe politica che ha perso definitivamente le nuove generazioni lasciando che il voto resti una faccenda per persone di una certa età, ma anche la scomparsa di un pezzo imponente della cultura politica centrista. In occasione delle settimane sociali del luglio scorso circolava un sondaggio sul livello di partecipazione al voto dei cattolici praticanti. L’esito fu preoccupante: il 50% dei circa 13 milioni di fedeli non va a votare. Si tratta di 6,5 milioni di cittadini che non si riconoscono più nei partiti offerti dal mercato politico. Se si fosse presentato alle elezioni del 2022 un partito così avrebbe raccolto il 22,5%, subito dopo la Meloni e prima del PD.

Il film della sinistra

Si tratta, probabilmente, della parte più importante di un popolo che non si trova a suo agio nel conflitto perenne in corso non tra antagonisti, ma tra nemici acerrimi e non riesce più a trovare la sua casa politica nel mercato elettorale. Ora non sapremo mai che direzione abbiano preso in Liguria i voti di Renzi, di Calenda, delle varie tribù centriste non classificate e dei “cultori della materia” di fede cattolica praticante. Una cosa è certa: quei simboli e quelle liste non c’erano e, se ci fossero state, probabilmente si sarebbero collocate per proprio conto o in alleanza con la sinistra. Che sarà destinata a inseguire con affanno un centro-destra sicuramente conflittuale al suo interno e in difficoltà con la sua classe dirigente, ma, alla fine, coeso con una distribuzione di ruoli che regge.

Sembra l’affiche di un western di Leone, Il buono, il brutto, il cattivo, dove sappiamo come collocare Tajani e Salvini, ma leggiamo il “cattivo” come “tosto” e ci mettiamo Giorgia Meloni. Il film della sinistra, invece, se non si saprà allargare al centro sarà un lungometraggio triste ed incompiuto. Una specie di Corazzata Potëmkin in versione Fantozzi. Quanto al centro, beh, per essere catalogato nell’anagrafe dei vivi bisogna essere tra i vivi. Per adesso sembra rilucere di più nel catalogo dello psicanalista.