Gli impianti di Taranto non si chiudono, e la produzione di Ilva può continuare nel rispetto delle leggi che la regolano. È la decisione assunta ieri dal Consiglio di Stato con la pubblicazione della sentenza di accoglimento del ricorso presentato da ArcelorMittal insieme a Ilva in Amministrazione Straordinaria e il Ministero dell’Ambiente. Dall’altra parte il Comune di Taranto, la Regione Puglia e il Codacons che invece difendevano l’ordinanza sindacale di chiusura impianti pubblicata dal sindaco di Taranto a febbraio 2020.

Il Consiglio di Stato ha bollato come “illegittima” l’ordinanza sindacale poiché «nelle motivazioni dell’ordinanza contingibile e urgente non sono stati rappresentati fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria in essere nella città di Taranto, tale da dover intervenire senza attendere la realizzazione delle migliorie secondo la tempistica prefissata». Questa tempistica è quella indicata nel piano ambientale del Dpcm 2017, che secondo il Consiglio di Stato «realizza un equo bilanciamento e contemperamento dei plurimi interessi coinvolti nella presente vicenda».

Questo passaggio è importante perché segna ancora una volta come sia quella la legge che stabilisce le prescrizioni ambientali che se attuate e rispettate garantiscono la salvaguardia ambientale e sanitaria del territorio di Taranto. Al contempo la sentenza ribadisce come è l’AIA la legge madre che giustifica e regola i livelli di produzione dello stabilimento fissandolo come sito strategico nazionale finalizzato alla realizzazione del piano ambientale: «L’autorizzazione integrata ambientale realizza, quindi, il “punto di equilibrio” fra contrastanti interessi, in particolare fra la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva altresì il diritto all’ambiente salubre, e il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso. Si tratta di un delicato bilanciamento che non è prefissato in anticipo e che viene raggiunto, per l’appunto, attraverso l’emanazione dell’autorizzazione integrata ambientale».

Al contrario, spiega il Consiglio di Stato «il potere di ordinanza non risulta suffragato da un’adeguata istruttoria e risulta, al contempo, viziato da intrinseca contraddittorietà e difetto di motivazione». Secondo i giudici il potere di ordinanza del sindaco «ha finito per sovrapporsi alle modalità con le quali, ordinariamente, si gestiscono e si fronteggiano le situazioni di inquinamento ambientale e di rischio sanitario per quegli stabilimenti produttivi abilitati dall’Aia. Inoltre, non è stato evidenziato un “pericolo ulteriore” rispetto a quello collegato ordinariamente allo svolgimento dell’attività industriale». Non c’è dunque pericolo imminente per la salute dei cittadini di Taranto. «Anzi, quanto emerso – scrive il Collegio di Palazzo Spada- è più incline ad escludere il rischio concreto di un’eventuale ripetizione degli eventi e la sussistenza di un possibile pericolo per la comunità tarantina». Tantomeno ci si può appellare a un non garantito principio di precauzione «posto che la stessa Aia equivale ad una presunzione in merito al rispetto di quel principio; detta presunzione non può essere superata dall’apprezzamento di un rischio puramente ipotetico, fondato su mere supposizioni allo stato non ancora verificate in termini scientifici».

Nonostante, si legge nella sentenza «che nella città di Taranto vi sia una problematica di carattere sanitario e ambientale, correlata all’attività industriale (anche) dello stabilimento dell’ex Ilva di Taranto, è oramai un fatto che può reputarsi “pacifico”, a fini processuali. Ma proprio l’intrapresa realizzazione delle misure procrastinate per anni, anche a causa della turbolenta situazione finanziaria e delle note vicende giudiziarie penali che hanno coinvolto l’impresa, segna una linea di discontinuità rispetto ai fatti che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha preso in considerazione nella sua sentenza di condanna. Con riferimento alla situazione attuale, le misure previste dal Piano risultano in corso di realizzazione e non emergono, dagli atti endoprocedimentali o dal provvedimento gravato, particolari ritardi o inadempimenti rispetto alla loro attuazione».

Sollecitato dal segretario Uilm Palombella che invita il Governo a non perdere più tempo essendo caduti tutti gli alibi, il ministro dello sviluppo Giorgetti dichiara immediatamente che «il Governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone». Non si fa attendere la risposta dell’azienda: Acciaierie d’Italia fa sapere di essere pronta a presentare già dalla prossima settimana, insieme con i suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth, la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello stabilimento di Taranto, tramite l’applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l’obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni. Lo annuncia una nota.

Il piano è un progetto di durata pluriennale allineato agli obiettivi di compatibilità ecologica stabiliti dall’Unione Europea per i target di impatto climatico ed energetico ed è suddiviso in più fasi tali da consentire la puntuale rilevazione dei risultati raggiunti. Acciaierie d’Italia è inoltre, «disponibile a verificare la proposta di piano di transizione ecologica e trasformazione industriale con tutti i soggetti coinvolti, dalle istituzioni alle comunità locali, al sindacato e agli operatori dell’indotto». Solo cosi potrà essere rispettata la sentenza di ieri dal Consiglio di Stato, insieme a tutte le altre emesse negli ultimi dieci anni.