L'ex premier tra due fuochi
Limite dei due mandati, cosa è la regola cardine che i big grillini vogliono far saltare
Un incontro tra Beppe Grillo e il leader in pectore del M5s Giuseppe Conte sarebbe avvenuto martedì sera nella villa di Marina di Bibbona del fondatore del Movimento. Secondo le indiscrezioni Conte si sarebbe recato da Grillo per illustrargli la stesura del nuovo Statuto e della Carta dei valori M5s, i documenti rifondativi del Movimento che nei prossimi giorni verranno votati dagli iscritti al M5s. Il reggente Vito Crimi, ha confermato in un’intervista che il M5s è ormai in possesso dei dati sugli iscritti e che nei prossimi giorni ci saranno due votazioni: sulla modifica allo Statuto e subito dopo sul “nuovo assetto” del Movimento.
Il primo punto tocca da vicino le sorti di molti parlamentari che intravedono la fine del cappone, avendo sostenuto tanto il taglio del numero degli eletti quanto il limite dei due mandati. Ed ecco che i maggiorenti premono per iniziare a ragionare di deroghe, per smetterla con il Movimento di lotta e per avviare sotto la guida di Conte quel soggetto centrista che potrebbe porre le basi per quel “nuovo Ulivo” del quale dalle parti di Letta si inizia a fantasticare. Ma sulla deroga al limite dei due mandati, secondo le indiscrezioni di Repubblica, Grillo avrebbe messo il veto.
È in particolare Vincenzo Spadafora a darsi da fare. L’ex enfant prodige di Francesco Rutelli, non a caso in asse con un altro rutelliano a cinque stelle, Luca Bergamo, è quello che più punta sulla necessità di strutturare il partito su base territoriale, con gli organismi nazionali che si interfacciano con i comitati regionali, suddivisi in comitati civici cittadini. Una cosa normale, si potrebbe dire. Ma trattasi di Cinque Stelle, e l’inizio di ogni nuovo ciclo coincide puntualmente con uno psicodramma collettivo. Le correnti del Movimento si faticano a contare: il ventaglio delle posizioni distribuisce decine di parlamentari pro e contro il nuovo soggetto politico, pro e contro Giuseppe Conte.
L’ex premier s’era lanciato a DiMartedì ospite di Giovanni Floris, in una carambola delle sue: «Il nuovo Movimento non è un partito moderato ma parla ad un elettorato moderato». Sul Corriere, stesso editore, medesima rapsodia: bene Draghi ma ci lascia spesso perplessi. Un colpo al cerchio e uno alla botte, fintanto che al M5S non si chiariscono i ruoli e le figure. Nicola Morra è fuori e sta organizzando il contro-Movimento con Barbara Lezzi, mentre Davide Casaleggio corteggia Alessandro Di Battista che ci deve pensare, e intanto parla con Fioramonti a sinistra e con Paragone a destra. Nelle stanze dei bottoni, Vito Crimi avrebbe messo insieme un gruppo di suoi fedelissimi con i quali punta a fare la differenza, nel caso di una conta tra Di Maio e Conte.
Torna a farsi largo in questo caos Rocco Casalino, che dalla torre di controllo di Montecitorio è tornato in auge presso deputati (ma anche senatori) che lo coccolano, lo invocano, lo blandiscono. Ci vengono riferite telefonate in cui lo si invita in vacanza in mezza Italia, ad agosto. Segno che è ancora lui l’uomo di riferimento di Conte, l’unico che potrebbe, volendo, dare una mano a qualcuno per una ricandidatura. Ieri intanto la notizia dell’individuazione dei due candidati del centrodestra a Roma ha sortito un effetto immediato: Michetti e Matone sono due nomi che devono ancora dimostrare il loro peso, dicono i sondaggisti.
Si prevede in ogni caso un ballottaggio con Virginia Raggi al secondo turno, dove però c’è il piccolo particolare che la sindaca di Roma ha perso la maggioranza da quando Marcello De Vito è passato armi e bagagli con Forza Italia: non gode più della maggioranza degli eletti con il M5S e ci sono dubbi serissimi sulla titolarità del simbolo nella Capitale. Potrebbero perfino depositarlo i suoi avversari interni. Ma più in generale, non c’è certezza sul simbolo del Movimento, che potrebbe cambiarlo. Le dimissioni ieri in seno al collegio dei probiviri e le contestazioni allo Statuto («Nessuno può derogare dalla piattaforma Rousseau», ha detto Andreola, lasciando gli organi di garanzia) indicano quanto la tensione resti alta e quante incognite i Cinque Stelle possano creare alla stessa tenuta del governo.
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