Il rapporto fra governo e popolo
L’impero di Putin appare più debole, e lo zar si rifugia nella bomba atomica
C’è qualcosa al Cremlino che non va. Ed è il potere reale di Vladimir Putin che sembra più incerto e non totalmente sotto il suo controllo. Segni di crepe si sono visti fin dall’8 febbraio quando la Commissione Centrale per le Elezioni ha dato l’annuncio che persino il più innocuo dei rari candidati a piede libero, Boris Nadezhdin, era stato escluso dal partecipare alle elezioni. Motivo? Ha delle opinioni diverse da quelle di Putin sulla guerra. Otto giorni dopo Alexey Navalny morì di colpo nell’ex Gulag “Lupo polare” e fonti interne alla prigione diffusero la notizia che Navalny era stato indebolito da venti ore trascorse all’aperto a trenta gradi sottozero, e poi abbattuto con pugno all’altezza del cuore. Una specialità del KGB.
Poi la tragedia dei funerali con Mosca che si andava raccogliendo intorno alla chiesa. La polizia sequestrava i fiori, la polizia identificava i passanti, la polizia distruggeva i “memorial” volanti sulle strade ma non ha potuto far nulla quando il gruppo dei sostenitori del leader dell’opposizione morto hanno scelto di portare fiori in un luogo dove nessuno avrebbe potuto minacciarli: il “Memorial delle vittime dello stalinismo”. Tonnellate di fiori, una fila continua di gente che voleva mostrare la propria distanza dal governo russo. Mentre si svolge la parata rituale che va sotto il nome di libere elezioni della Federazione russa, si notano parecchi segnali di sfaldamento sia nella società che nei suoi vertici anche se i progressi militari in Ucraina sono tristemente veri è interamente subiti le sofferti dall’esercito e dalla popolazione Ucraina. Putin stesso è cambiato: la sua testa si è fatta totalmente rotonda, gli occhi immersi in una rosea pinguedine: il cambiamento è accelerato da quando il caso Navalny ha permesso ai riflettori di ogni Paese di illuminare lo spot disadorno del Cremlino. Ieri è arrivata la notizia secondo cui è quasi pronta una nuovissima Internet per uso esclusivamente russo, imposta ai cittadini come una definitiva forma di censura, il che vuol dire, come scrive Andrei Kolesnikov su Foreign Affair, che “la Russia non è stabile né normale” e anzi avanza verso uno stato di crisi politica, benché Putin, senza neanche il bisogno di ricorrere alle urne, si sia assicurato il potere fino al 2036, grazie al referendum del 2020.
Putin non è tranquillo
Con questa cinta muraria di protezioni e precauzioni, il controllo totale sulla stampa e su internet, Putin dovrebbe esser tranquillo, ma non lo è. Ogni giorno, ieri compreso, ripete che la Russia risponderà con armi atomiche non ad una aggressione dall’Occidente, ma – attenzione – alla “percezione” di essere aggrediti. Bisogna ricordare che con questa storia dell’aggressione continuamente temuta come ai tempi di Napoleone e di Hitler, è fatta di due soli esempi: l’invasione napoleonica e quella tedesca nel giugno 1941. Putin ha fatto diventare una legge il divieto a chiunque di dire, scrivere, raccontare e mostrare come l’aggressione hitleriana all’Unione Sovietica avvenne come rottura di un’alleanza che aveva coperto quasi due anni di guerra: i sottomarini tedeschi venivano a fare il pieno nei porti russi prima di silurare nell’Atlantico i convogli americani che portavano armi e rifornimenti all’Inghilterra. Senza quell’alleanza nazi-comunista non ci sarebbe stata una Seconda guerra mondiale, che infatti i russi per prudenza chiamano con un altro nome: Grande Guerra Patriottica. Putin ha provveduto a rappezzare anche la Storia e a punite eventuali storici. Ma, a 71 anni la sua marcia trionfale deve aver cominciato a rallentare e stonare: dov’è finito il Putin scattante dai tratti sottili? Le voci di una cura ad alte dosi di cortisone, si moltiplicano. Poi spariscono e poi tornano in auge. Ma chi lo segue sul canale YouTube l’ha visto decadere: non parla ma bisbiglia. Così è accaduto anche durante l’intervista con Tucker Carlson, anchorman televisivo americano, dove sono stati rari i momenti memorabili o i successi retorici di Putin, il quale del resto ha accusato il giornalista americano di aver saputo fare “le domande giuste”.
Il problema politico e militare
Il problema della guerra di come andare avanti è diventato un problema politico oltre che militare. Perché se è vero che da una parte l’industria militare russa (adatta alle esigenze di potenza media) si sta trasformando in una industria militare statale di dimensioni da grande potenza, dimenticate dai tempi dell’Unione Sovietica, è anche vero che la guerra in Ucraina è impantanata su entrambi i fronti. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron, che aveva ipotizzato senza consultarsi con gli alleati un possibile invio di soldati della Nato in Ucraina, è tornato alla carica con parole più sensate: “Noi non vogliamo vincere nessuna guerra. Noi vogliano soltanto che Putin non pensi di vincere la sua aggressione all’Ucraina”. E di nuovo Putin ha reagito promettendo bombe atomiche, piccole, medie e transcontinentali. Putin non ha, o non ha più, il potere assoluto e gli hanno proibito di chiamare soldati di leva da strappare ai banchi di scuola e alle officine e mandarli al fronte a morire. Voleva, e gli hanno detto di no a causa di una pregiudiziale risibile come una commedia di Gogol. Quando decise di invadere l’Ucraina, il circolo degli oligarchi che contano (fra cui quelli che, stando al ribelle Prigozhin, gliela imposero) pretese una formula giuridica che avrebbe impedito l’accesso alle normali risorse richieste da una guerra. Lo obbligarono a restringersi in quella formula “Operazione militare speciale” come quella degli americani a Grenada o a Panama: vado, l’ammazzo e torno. Fin da subito con l’acqua alla gola, quanto a personale da combattimento, Putin vuotò subito le prigioni: voi galeotti potete combattere e morire, ma se sarete valorosi combattere ed essere liberi.
Lo spettacolo è cambiato
Le prigioni sono vuote, i reclutatori si spingono a razziare maschi in età giovane nelle feste e persino nei matrimoni, ma oggi lo spettacolo etnico della prima linea è cambiato diventando asiatico. Non solo i ragazzi delle repubbliche con gli occhi a mandorla, ma soldatacci di ventura presi in affitto in Cina, Indonesia, Borneo. Specialmente mercenari cinesi, bengalesi e gurkha: gli stessi che compongono per tradizione etnica, le élite più brutali di quel che resta dell’Impero britannico e che Margareth Thatcher usò contro i marinai argentini durante la guerra delle Falkland. Ma gli hanno vietato di fare una leva – il “draft” che persino gli americani furono costretti a lanciare durante la guerra in Vietnam con il risultato di una fuga di disertori americani in Canada. Putin non è libero di decidere di chiamare i giovani in età di leva, vestirli come soldatini e spedirli al fronte dopo un brevissimo addestramento. Vorrebbe, l’ha annunciato molte volte, ma non può: che cos’altro può significare se non che un potere a lui superiore glielo vieta? Con chi sta facendo i conti il Presidente della Federazione Russa: anche queste giornate elettorali puramente celebrative, che cosa potranno mai contare? Non la nascita di un altro partito antagonista, ma certificare il numero dei votanti che può rivelare molto sulla tenuta del rapporto fra governo e popolo.
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